1. Premessa
Quando si parla di nautica da
diporto ci si riferisce, solitamente, a quel particolare settore della nautica,
che riguarda la navigazione effettuata in acque marittime ed interne, a scopi
sportivi o ricreativi e senza fini di lucro.
Ci si raffigura, per lo più, il suo
modello tipo: quello del turista, amante del mare, che trascorre le sue vacanze
a bordo di imbarcazioni, a vela o motore, unicamente a scopo privato (sportivo,
ludico o ricreativo).
A seconda, poi, della lunghezza
dello scafo (facendo riferimento a quanto disponevano la legge n.50/1970 e
quella n.436/1996) si differenziano le “navi da diporto”, le “unità da diporto”
ed i “natanti da diporto”.
I mezzi della navigazione da
diporto, però, nella prassi sono utilizzati anche per uso commerciale e non
unicamente per uso privato. Si pensi, ad esempio, alle numerose società di
noleggio o locazione delle imbarcazioni, ovvero a quelle che svolgono
l’attività di insegnamento professionale della navigazione da diporto.
Fino al D.Lgs 18.07.2005 n.171, in
vigore dal 15.09.2005 (cd. Codice Unico della nautica da diporto),
però, si registrava un vuoto normativo, che dava avvio a numerose questioni
interpretative sulla disciplina giuridica (civilistica, amministrativa e
tributaria) da applicare.
Il nuovo art. 2 del citato D.Lgs
18.07.2005 n.171, rubricato “Uso commerciale delle unità da diporto”
precisa ora che <1. L'unita' da diporto e' utilizzata a fini commerciali
quando:
a) e' oggetto di contratti di locazione e di noleggio;
b) e' utilizzata per l'insegnamento professionale
della navigazione da diporto;
c) e' utilizzata da centri di immersione e di addestramento
subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo
sportivo o ricreativo….(omissis)>.
Il
recente intervento del legislatore, però, ha solo in parte risolto i dubbi
degli interpreti, lasciando aperte alcune problematiche che si affronteranno
nel prosieguo.
Per
quanto riguarda, in particolare, la normativa fiscale, una delle questioni
attiene alla possibilità di estendere l’ambito di applicazione dell’art.8bis
DPR n.633/1972, anche alle unità da diporto.
2. La non imponibilità ai fini dell'imposta sul valore aggiunto - L'art. 8 bis del DPR n.633/1972.
Prima di esaminare la complessa
problematica relativa alla possibile applicazione dell’art.8 bis del DPR
n.633/1972 alle unità da diporto giova preliminarmente fare cenno ai principi
che sottendono alla non imponibilità delle operazioni elencate nell’art. 8bis
citato.
Vale ricordare, a tal fine, che
l’imposta sul valore aggiunto si applica unicamente alle cessioni di beni ed
alle prestazioni di servizi che siano state effettuate nel territorio dello
Stato nell’ambito dell'esercizio di un’attività di impresa, ovvero sulle
importazioni da chiunque effettuate.
È noto che un’operazione è
rilevante agli effetti dell'IVA se possiede, insieme agli altri requisiti
quello della "territorialità". Non basta, cioè, che i soggetti
passivi d'imposta (artt. 4 e 5 DPR. n.633/1972) pongano in essere cessioni di
beni o prestazioni di servizi (artt. 2 e 3 del medesimo DPR. n.633/1972), ma è
anche indispensabile che le cessioni o le prestazioni siano effettuate (art. 6)
nel territorio dello Stato (art. 7).
In questo contesto si collocano una
serie di operazioni che, pur rispondendo sia al requisito
"soggettivo" che "oggettivo", sono prive per "finzione
giuridica" di quello territoriale e godono, perciò, del criterio della cd.
"non imponibilità". Il caso tipico è costituito dalle operazioni
all’esportazione (art. 8), nonché dalle operazioni ad esse assimilate (art. 8
bis).
Più precisamente,
l’articolo 8 non considera esportazioni, tra le altre, le cessioni di dotazioni
o provviste di bordo imbarcate su navi da diporto a favore di acquirenti non
residenti.
L’art.
8 bis, invece, dispone la non imponibilità delle cessioni di beni e delle
prestazioni di servizi relative al settore navale ed aeronautico, nella
considerazione che queste attività si svolgono tipicamente in un mercato
internazionale ed in un ambito che non può essere localizzato nel territorio
nazionale, anche quando l’operatore sia residente nel territorio stesso.
L’imposta, perciò, non è
applicabile alle cessioni aventi ad oggetto "navi
destinate all'esercizio di attività commerciali o della pesca adibite ad ogni
tipo di navigazione [marittima lacuale o fluviale]..”, nonché alle navi “destinate
ad operazioni di salvataggio o di assistenza in mare (...), escluse le unità da diporto di cui alla legge 11
febbraio 1971, n. 50".
Dal tenore letterale della norma,
gli interpreti si sono posti la questione della possibile applicazione degli
artt. 8 e 8bis alle cessioni di unità da diporto.
Per quanto concerne l’applicazione
del dettato di cui all’art. 8 citato alle unità da diporto, con la Risoluzione
26.10.1973 n.513156, il
Ministero delle Finanze ha chiarito che in “per nave deve intendersi…
qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di
diporto. Inoltre con la circolare n.539917 … viene precisato che…. Non è
operante la distinzione fatta ad altri effetti dalla legge 11.02.1971 n.50 fra
le navi da diporto ed imbarcazioni da diporto, per cui fruiscono delle vigenti
norme agevolative anche le barche a vela, i battelli fuori bordo ed entro bordo
nonché i battelli pneumatici.”
Peraltro, l’art. 2, 4° comma della
legge n.28/1997 ha esteso la qualifica di navi destinate all’esercizio di
attività commerciali anche ai galleggianti antincendio, alle gru galleggianti
mobili, ai pontoni di sollevamento, ai pontoni posatubi o posacavi, alle
chiatte, alle piattaforme ed ai galleggianti mobili o sommergibili destinati
alle attività di ricerca e di sfruttamento del suolo marino.
La lettura dell’art.8 bis, invece,
conduceva a ritenere che alle cessioni di unità da diporto si applicasse sempre
l’imposta sul valore aggiunto.
La ratio della esclusione delle unità
da diporto dal trattamento di non imponibilità faceva leva sul fatto che - ai
sensi dell’art.1, secondo comma, della legge n. 50/1971 - alla navigazione da
diporto era riconosciuto unicamente uno scopo sportivo o ricreativo “..dai quali esuli il
fine di lucro ".
La
recente riforma del settore della nautica da diporto sembra aver riconosciuto
espressamente il possibile utilizzo delle unità da diporto, anche per scopi di
natura commerciale.
Si,
pone, pertanto, il problema di estendere l’ambito di applicazione dell’art.8
bis, 1° comma lett. a) del DPR n.633/1972, anche alle unità da diporto.
3. Le unità da diporto
Prima di esaminare in dettaglio la
questione, giova soffermarsi su alcuni aspetti della nuova normativa sulla
nautica da diporto.
Anzitutto, il legislatore,
innovando la disciplina preesistente, è intervenuto sulla definizione di “unità
da diporto”.
La legge n. 436/96 consentiva l’individuazione di tale tipo di imbarcazione
attraverso la sua differenziazione da quello delle “navi da diporto”,
riconducendole alle "..unità con
scafo di lunghezza compresa tra i 2,5 e 24 metri, misurate secondo gli
opportuni standard armonizzati, di qualunque tipo e con qualunque mezzo di
propulsione, destinate a essere utilizzate per fini sportivi e ricreativi".
Le “navi da diporto” erano,
invece, tutte le imbarcazioni di lunghezza superiore ai 24 metri f.t., a motore
o a vela, anche se con motore ausiliario.
La più recente normativa, introdotta con il D.Lgs. n.
171/2005, individua
ora all’art.3 le “unità da diporto” in qualsivoglia costruzione, di qualunque
tipo e con qualunque mezzo di propulsione, destinata alla navigazione per scopi
sportivi o ricreativi, dai quali esuli il fine di lucro.
Nell’ampia categoria delle “unità
da diporto”, poi, il legislatore ha distinto tre diverse tipologie e
precisamente:
1)
le navi
da diporto, con scafo di lunghezza superiore a 24 metri;
2)
le imbarcazioni
da diporto, con scafo di lunghezza compresa tra 10 e 24 metri;
3)
i natanti
da diporto, nel cui ambito sono ricomprese:
a)
le unità da diporto a remi;
b)
le unità da
diporto con scafo pari o inferiore a 10 metri;
c)
ogni
unità da diporto di cui alle lettere a). e b) utilizzate in acque interne e,
perciò, anche le unità più piccole quali, a titolo di esempio, jole, pattini,
sandolini, mosconi, pedalò, tavole a vela, acquascooter o moto d’acqua.
Nulla, invece, il
legislatore ha innovato con riferimento alle “navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e
comunque di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite in
navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche”.
Si tratta di unità che
(ai sensi dell’art.3 della legge 8 luglio 2003 n.172)
“..Possono essere
iscritte nel Registro internazionale di cui all'articolo
1 del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni,
dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, e successive modificazioni, ed essere
assoggettate alla relativa disciplina, ….(omissis)” e godono di un particolare regime
normativo di favore.
Dalla lettura coordinata delle
disposizioni citate discende che nell’ampio genus delle “navi da diporto” si differenziano,
perciò:
a)
le
unità da diporto di lunghezza superiore ai 24 metri, utilizzate unicamente a
fini privati;
b)
quelle
usate a scopo commerciale, perché “adibite in navigazione internazionale
esclusivamente al noleggio per finalità turistiche” (dette comunemente “Grandi Yachts” o “SuperYachts”);
c)
quelle
usate a scopo commerciale, perché “oggetto di contratti di locazione e di
noleggio” ovvero perché “utilizzate per l'insegnamento professionale
della navigazione da diporto” ovvero ancora perché “utilizzate da centri
di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i
praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo”.
Avendo riguardo, poi, al citato
art. 2 del D.Lgs 18.07.2005 n.171, tra le imbarcazioni ed i natanti da diporto occorre distinguere le unità
utilizzate unicamente a fini privati, da quelle usate a scopo commerciale,
perché “oggetto di contratti di locazione e di noleggio” ovvero perché “utilizzata
per l'insegnamento professionale della navigazione da diporto” ovvero
ancora perché “utilizzata da centri di immersione e di addestramento
subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo
sportivo o ricreativo”.
Il medesimo art. 2, poi, dispone
che l’utilizzazione a fini commerciali delle navi ed imbarcazioni da diporto
deve essere annotata nei relativi registri di iscrizione, con l'indicazione
delle attività svolte e dei proprietari o armatori delle unità, imprese
individuali o società, esercenti le suddette attività commerciali e degli
estremi della loro iscrizione, nel registro delle imprese della competente
camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura.
Gli estremi dell'annotazione devono
essere riportati sulla licenza di navigazione e le unità da diporto possono
essere utilizzate, allora, esclusivamente per le attività a cui sono adibite.
4. La non imponibilità ai fini dell'imposta sul valore aggiunto della cessione di unità da diporto: una rilettura dell'art. 8 bis del DPR n.633/1972.
Passando, ora, ad esaminare la questione che
interessa, si è accennato in precedenza che l’art.2 del D.Lgs. n.171/2005 ha
espressamente riconosciuto l'utilizzo delle unità da diporto in attività
commerciali.
Si impone, perciò, una rilettura dell’art.8 bis
del DPR n. 633 del 1972, che tenga conto di tali innovazioni legislative,
avendo riguardo altresì alla ratio ispiratrice dell’art. 8 bis citato.
Un'interpretazione logico-sistematica delle
norme in vigore sembra addurre alle seguenti conclusioni:
-
l’art.8 bis del DPR n.633/1972 escludeva dal
regime di non imponibilità le unità da diporto di cui alla legge 11.02.1971;
-
tale esclusione traeva giustificazione nel
fatto che alla navigazione da diporto fosse riconosciuto uno scopo dal
quale “..esuli il fine di lucro”;
venuto
meno il limite della funzione sportivo-ricreativa a scopi privati, sembra
potersi affermare che le
“navi ed imbarcazioni da diporto” utilizzate per le attività commerciali di cui al citato art. 2 D.Lgs.
n.171/2005, regolarmente annotate nei registri di iscrizione e sulla licenza di
navigazione, potranno avvalersi della non imponibilità ai fini IVA per
le operazioni indicate nell’art.8 bis del DPR n. 633/1972.
Tale conclusione si rafforza ove si
consideri che la Sesta direttiva comunitaria n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977,
e succ. modif., in materia di IVA, già prevedeva, all'art.15, paragrafo 1, n.
4, lettera a), l'esenzione da imposta per le cessioni di beni destinati al
rifornimento e al vettovagliamento di navi "adibite
alla navigazione d'alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o usate
nell'esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca ".
È pur vero, però, che la direttiva
appena richiamata si riferisce alle “navi” e non fa alcun riferimento
alle altre “imbarcazioni da diporto”, ovvero ai “natanti”.
Sul punto si era già espressa
l’amministrazione finanziaria con la Risoluzione 26.10.1973 n.513156 del
Ministero delle Finanze.
Successivamente, poi, l’Agenzia
delle Entrate, con la Risoluzione 21.03.2002, n.94/E, - in risposta ad una
richiesta di interpello concernente l'esatta applicazione dell'art. 8 bis del
DPR 26 ottobre 1972, n. 633, - aveva riconosciuto la possibilità di applicare
l’art. 8 bis citato anche alle unità da diporto, limitatamente a quelle unità
che fossero state effettivamente utilizzate per lo svolgimento di attività
commerciali che si concretizzavano in contratti di noleggio.
L’Agenzia, partendo dalla
considerazione per cui la ratio della
esclusione delle unità da diporto dal trattamento di non imponibilità faceva
leva sul fatto che - ai sensi dell’art.1, secondo comma, della legge n. 50/1971
- alla navigazione da diporto era riconosciuto unicamente uno scopo sportivo o ricreativo “..dai quali esuli il fine di lucro " e non sussistano, perciò,
finalità di carattere commerciale
[12]
,
aveva ritenuto, infatti, che l’attività di noleggio sia tra quelle tipicamente commerciali, per le
quali opera il regime di non imponibilità.
A diversa soluzione perviene,
invece, per le unità da diporto utilizzate per la locazione, pure considerando,
poi, che nella legislazione degli ultimi anni, si ravvisi un preciso intento di
“consentire l'utilizzo delle unità da diporto in attività commerciali”.
Ai fini della prova dell’effettivo
impiego delle unità da diporto nell’ambito di attività commerciali, poi,
l’Agenzia delle Entrate aveva precisato di doversi fare riferimento agli
obblighi di registrazione in vigore. Ed, allora, per
le navi ed imbarcazioni da diporto era necessaria l'annotazione nei registri di
iscrizione e sulla licenza di navigazione dell'utilizzo del bene per finalità
di noleggio; per i
natanti da diporto (che l' articolo 13, 3° comma, della legge n. 50 del 1971
non assoggettava all'obbligo di iscrizione nei registri marittimi), gli
esercenti dell'attività di noleggio, oltre ad assolvere all'obbligo di iscrizione
nel registro delle imprese, avrebbero dovuto comprovare di essere stati
autorizzati dalla locale autorità marittima all'impiego dei natanti mediante
contratti di noleggio.
Seguendo il ragionamento
dell’Agenzia delle Entrate ed avendo riguardo al nuovo art. 2 del Codice della
Navigazione da diporto, sembra potersi concludere allora che sussista la
possibilità di applicare l’art. 8 bis citato a tutte le unità da diporto (e
perciò non solo alle navi ed alle imbarcazioni di grosse dimensioni) quando:
a)siano “..oggetto di contratti di locazione e di noleggio”;
b) siano adibite a “l'insegnamento
professionale della navigazione da diporto”;
c) siano utilizzate “..da centri di immersione e di addestramento
subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo
sportivo o ricreativo….(omissis)>”.
Ai fini della prova dell’effettivo
impiego nell’ambito di tali attività commerciali, poi, onde poter fruire
dell’agevolazione di cui all’art.8 bis citato, occorre che il tipo di attività
esercitata risulti regolarmente annotata nei registri di iscrizione e sulla
licenza di navigazione.
Laddove, poi, il D.Lgs. n.171/2005
non preveda alcun obbligo di iscrizione nei registri marittimi (come per i
natanti), sembra doversi ritenere che gli esercenti dell'attività commerciale,
potranno avvalersi dell’esclusione dal regime di imponibilità ai fini IVA,
assolvendo all'obbligo di iscrizione dell’attività nel registro delle imprese,
e provando di essere stati autorizzati dalla locale autorità marittima all'impiego
dei natanti nell’ambito della loro attività.