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Aspetti fiscali della riforma della nautica da diporto – La non imponibilità, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, della cessione di unità da diporto. (Boll. Trib, 2006, 756 e ss.)

Avv. Katia Scarpa

Sommario: 1. Premessa – 2. La non imponibilità ai fini dell’imposta sul valore aggiunto – L’art. 8 bis del DPR n. 633/1972 – 3. Le unità da diporto – 4. La non imponibilità ai fini dell’imposta sul valore aggiunto della cessione di unità da diporto: una rilettura dell’art.8bis del DPR n.633/1972.  

1. Premessa

Quando si parla di nautica da diporto ci si riferisce, solitamente, a quel particolare settore della nautica, che riguarda la navigazione effettuata in acque marittime ed interne, a scopi sportivi o ricreativi e senza fini di lucro.

Ci si raffigura, per lo più, il suo modello tipo: quello del turista, amante del mare, che trascorre le sue vacanze a bordo di imbarcazioni, a vela o motore, unicamente a scopo privato (sportivo, ludico o ricreativo).

A seconda, poi, della lunghezza dello scafo (facendo riferimento a quanto disponevano la legge n.50/1970 e quella n.436/1996) si differenziano le “navi da diporto”, le “unità da diporto” ed i “natanti da diporto”.

I mezzi della navigazione da diporto, però, nella prassi sono utilizzati anche per uso commerciale e non unicamente per uso privato. Si pensi, ad esempio, alle numerose società di noleggio o locazione delle imbarcazioni, ovvero a quelle che svolgono l’attività di insegnamento professionale della navigazione da diporto.

Fino al D.Lgs 18.07.2005 n.171, in vigore dal 15.09.2005 (cd. Codice Unico della nautica da diporto [1] ), però, si registrava un vuoto normativo, che dava avvio a numerose questioni interpretative sulla disciplina giuridica (civilistica, amministrativa e tributaria) da applicare.

Il nuovo art. 2 del citato D.Lgs 18.07.2005 n.171, rubricato “Uso commerciale delle unità da diporto” precisa ora che <1. L'unita' da diporto e' utilizzata a fini commerciali quando:

a) e' oggetto di contratti di locazione e di noleggio;

b) e' utilizzata per l'insegnamento professionale della navigazione da diporto;

c) e' utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo….(omissis)>.

Il recente intervento del legislatore, però, ha solo in parte risolto i dubbi degli interpreti, lasciando aperte alcune problematiche che si affronteranno nel prosieguo.

Per quanto riguarda, in particolare, la normativa fiscale, una delle questioni attiene alla possibilità di estendere l’ambito di applicazione dell’art.8bis DPR n.633/1972, anche alle unità da diporto.

2. La non imponibilità ai fini dell'imposta sul valore aggiunto - L'art. 8 bis del DPR n.633/1972.

Prima di esaminare la complessa problematica relativa alla possibile applicazione dell’art.8 bis del DPR n.633/1972 alle unità da diporto giova preliminarmente fare cenno ai principi che sottendono alla non imponibilità delle operazioni elencate nell’art. 8bis citato.

Vale ricordare, a tal fine, che l’imposta sul valore aggiunto si applica unicamente alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi che siano state effettuate nel territorio dello Stato nell’ambito dell'esercizio di un’attività di impresa, ovvero sulle importazioni da chiunque effettuate.

È noto che un’operazione è rilevante agli effetti dell'IVA se possiede, insieme agli altri requisiti quello della "territorialità". Non basta, cioè, che i soggetti passivi d'imposta (artt. 4 e 5 DPR. n.633/1972) pongano in essere cessioni di beni o prestazioni di servizi (artt. 2 e 3 del medesimo DPR. n.633/1972), ma è anche indispensabile che le cessioni o le prestazioni siano effettuate (art. 6) nel territorio dello Stato (art. 7) [2] .

In questo contesto si collocano una serie di operazioni che, pur rispondendo sia al requisito "soggettivo" che "oggettivo", sono prive per "finzione giuridica" di quello territoriale e godono, perciò, del criterio della cd. "non imponibilità". Il caso tipico è costituito dalle operazioni all’esportazione (art. 8), nonché dalle operazioni ad esse assimilate (art. 8 bis).

Più precisamente, l’articolo 8 non considera esportazioni, tra le altre, le cessioni di dotazioni o provviste di bordo imbarcate su navi da diporto a favore di acquirenti non residenti.

L’art. 8 bis, invece, dispone la non imponibilità delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi relative al settore navale ed aeronautico, nella considerazione che queste attività si svolgono tipicamente in un mercato internazionale ed in un ambito che non può essere localizzato nel territorio nazionale, anche quando l’operatore sia residente nel territorio stesso [3] .

L’imposta, perciò, non è applicabile alle cessioni aventi ad oggetto "navi destinate all'esercizio di attività commerciali o della pesca adibite ad ogni tipo di navigazione [marittima lacuale o fluviale]..”, nonché alle navi “destinate ad operazioni di salvataggio o di assistenza in  mare (...), escluse le unità da diporto di cui alla legge 11 febbraio 1971, n. 50" [4] .

Dal tenore letterale della norma, gli interpreti si sono posti la questione della possibile applicazione degli artt. 8 e 8bis alle cessioni di unità da diporto [5] .

Per quanto concerne l’applicazione del dettato di cui all’art. 8 citato alle unità da diporto, con la Risoluzione 26.10.1973 n.513156 [6] , il Ministero delle Finanze ha chiarito che in “per nave deve intendersi… qualsiasi costruzione destinata al trasporto per acqua, anche a scopo di diporto. Inoltre con la circolare n.539917 … viene precisato che…. Non è operante la distinzione fatta ad altri effetti dalla legge 11.02.1971 n.50 fra le navi da diporto ed imbarcazioni da diporto, per cui fruiscono delle vigenti norme agevolative anche le barche a vela, i battelli fuori bordo ed entro bordo nonché i battelli pneumatici.”

Peraltro, l’art. 2, 4° comma della legge n.28/1997 ha esteso la qualifica di navi destinate all’esercizio di attività commerciali anche ai galleggianti antincendio, alle gru galleggianti mobili, ai pontoni di sollevamento, ai pontoni posatubi o posacavi, alle chiatte, alle piattaforme ed ai galleggianti mobili o sommergibili destinati alle attività di ricerca e di sfruttamento del suolo marino.

La lettura dell’art.8 bis, invece, conduceva a ritenere che alle cessioni di unità da diporto si applicasse sempre l’imposta sul valore aggiunto.

La ratio della esclusione delle unità da diporto dal trattamento di non imponibilità faceva leva sul fatto che - ai sensi dell’art.1, secondo comma, della legge n. 50/1971 - alla navigazione da diporto era riconosciuto unicamente uno scopo sportivo o ricreativo “..dai quali esuli il fine di lucro " [7] .

La recente riforma del settore della nautica da diporto sembra aver riconosciuto espressamente il possibile utilizzo delle unità da diporto, anche per scopi di natura commerciale.

Si, pone, pertanto, il problema di estendere l’ambito di applicazione dell’art.8 bis, 1° comma lett. a) del DPR n.633/1972, anche alle unità da diporto.

3. Le unità da diporto

Prima di esaminare in dettaglio la questione, giova soffermarsi su alcuni aspetti della nuova normativa sulla nautica da diporto.

Anzitutto, il legislatore, innovando la disciplina preesistente, è intervenuto sulla definizione di “unità da diporto”.

La  legge n. 436/96 consentiva l’individuazione di tale tipo di imbarcazione attraverso la sua differenziazione da quello delle “navi da diporto”, riconducendole alle "..unità con scafo di lunghezza compresa tra i 2,5 e 24 metri, misurate secondo gli opportuni standard armonizzati, di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione, destinate a essere utilizzate per fini sportivi e ricreativi".

Le “navi da diporto” erano, invece, tutte le imbarcazioni di lunghezza superiore ai 24 metri f.t., a motore o a vela, anche se con motore ausiliario.

La più recente normativa, introdotta con il D.Lgs. n. 171/2005, individua ora all’art.3 le “unità da diporto” in qualsivoglia costruzione, di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione, destinata alla navigazione per scopi sportivi o ricreativi, dai quali esuli il fine di lucro.

Nell’ampia categoria delle “unità da diporto”, poi, il legislatore ha distinto tre diverse tipologie e precisamente:

1)    le navi da diporto, con scafo di lunghezza superiore a 24 metri;

2)    le imbarcazioni da diporto, con scafo di lunghezza compresa tra  10 e 24 metri;

3)    i natanti da diporto, nel cui ambito sono ricomprese:

a)    le unità da diporto a remi;

b)    le unità da diporto con scafo pari o inferiore a 10 metri;

c)    ogni unità da diporto di cui alle lettere a). e b) utilizzate in acque interne e, perciò, anche le unità più piccole quali, a titolo di esempio, jole, pattini, sandolini, mosconi, pedalò, tavole a vela, acquascooter o moto d’acqua.

Nulla, invece, il legislatore ha innovato con riferimento alle “navi con scafo di lunghezza superiore a 24 metri e comunque di stazza lorda non superiore alle 1.000 tonnellate, adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche”.

Si tratta di unità che (ai sensi dell’art.3 della legge 8 luglio 2003 n.172 [8] ) “..Possono essere iscritte nel Registro internazionale di cui all'articolo 1 del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30, e successive modificazioni, ed essere assoggettate alla relativa disciplina, ….(omissis)” e godono di un particolare regime normativo di favore.

Dalla lettura coordinata delle disposizioni citate discende che nell’ampio genus delle “navi da diporto” si differenziano, perciò:

a)    le unità da diporto di lunghezza superiore ai 24 metri, utilizzate unicamente a fini privati;

b)    quelle usate a scopo commerciale, perché “adibite in navigazione internazionale esclusivamente al noleggio per finalità turistiche” (dette comunemente “Grandi Yachts” o “SuperYachts”);

c)    quelle usate a scopo commerciale, perché “oggetto di contratti di locazione e di noleggio” ovvero perché “utilizzate per l'insegnamento professionale della navigazione da diporto” ovvero ancora perché “utilizzate da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo”.

Avendo riguardo, poi, al citato art. 2 del D.Lgs 18.07.2005 n.171, tra le imbarcazioni ed i natanti da diporto occorre distinguere le unità utilizzate unicamente a fini privati, da quelle usate a scopo commerciale, perché “oggetto di contratti di locazione e di noleggio” ovvero perché “utilizzata per l'insegnamento professionale della navigazione da diporto” ovvero ancora perché “utilizzata da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo”.

Il medesimo art. 2, poi, dispone che l’utilizzazione a fini commerciali delle navi ed imbarcazioni da diporto deve essere annotata nei relativi registri di iscrizione, con l'indicazione delle attività svolte e dei proprietari o armatori delle unità, imprese individuali o società, esercenti le suddette attività commerciali e degli estremi della loro iscrizione, nel registro delle imprese della competente camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura.

Gli estremi dell'annotazione devono essere riportati sulla licenza di navigazione e le unità da diporto possono essere utilizzate, allora, esclusivamente per le attività a cui sono adibite [9] .

4. La non imponibilità ai fini dell'imposta sul valore aggiunto della cessione di unità da diporto: una rilettura dell'art. 8 bis del DPR n.633/1972.

Passando, ora, ad esaminare la questione che interessa, si è accennato in precedenza che l’art.2 del D.Lgs. n.171/2005 ha espressamente riconosciuto l'utilizzo delle unità da diporto in attività commerciali [10] .

Si impone, perciò, una rilettura dell’art.8 bis del DPR n. 633 del 1972, che tenga conto di tali innovazioni legislative, avendo riguardo altresì alla ratio ispiratrice dell’art. 8 bis citato.

Un'interpretazione logico-sistematica delle norme in vigore sembra addurre alle seguenti conclusioni:

-       l’art.8 bis del DPR n.633/1972 escludeva dal regime di non imponibilità le unità da diporto di cui alla legge 11.02.1971;

-       tale esclusione traeva giustificazione nel fatto che alla navigazione da diporto fosse riconosciuto uno scopo dal quale  “..esuli il fine di lucro”;

venuto meno il limite della funzione sportivo-ricreativa a scopi privati, sembra potersi affermare che le “navi ed imbarcazioni da diporto” utilizzate per le attività commerciali di cui al citato art. 2 D.Lgs. n.171/2005, regolarmente annotate nei registri di iscrizione e sulla licenza di navigazione, potranno avvalersi della non imponibilità ai fini IVA per le operazioni indicate nell’art.8 bis del DPR n. 633/1972.

Tale conclusione si rafforza ove si consideri che la Sesta direttiva comunitaria n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, e succ. modif., in materia di IVA, già prevedeva, all'art.15, paragrafo 1, n. 4, lettera a), l'esenzione da imposta per le cessioni di beni destinati al rifornimento e al vettovagliamento di navi "adibite alla navigazione d'alto mare e al trasporto a pagamento di passeggeri o usate nell'esercizio di attività commerciali, industriali e della pesca ".

È pur vero, però, che la direttiva appena richiamata si riferisce alle “navi” e non fa alcun riferimento alle altre “imbarcazioni da diporto”, ovvero ai “natanti”.

Sul punto si era già espressa l’amministrazione finanziaria con la Risoluzione 26.10.1973 n.513156 del Ministero delle Finanze [11] .

Successivamente, poi, l’Agenzia delle Entrate, con la Risoluzione 21.03.2002, n.94/E, - in risposta ad una richiesta di interpello concernente l'esatta applicazione dell'art. 8 bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, - aveva riconosciuto la possibilità di applicare l’art. 8 bis citato anche alle unità da diporto, limitatamente a quelle unità che fossero state effettivamente utilizzate per lo svolgimento di attività commerciali che si concretizzavano in contratti di noleggio.

L’Agenzia, partendo dalla considerazione per cui la ratio della esclusione delle unità da diporto dal trattamento di non imponibilità faceva leva sul fatto che - ai sensi dell’art.1, secondo comma, della legge n. 50/1971 - alla navigazione da diporto era riconosciuto unicamente uno scopo sportivo o ricreativo “..dai quali esuli il fine di lucro " e non sussistano, perciò, finalità di carattere commerciale [12] , aveva ritenuto, infatti, che l’attività di noleggio sia tra quelle tipicamente commerciali, per le quali opera il regime di non imponibilità.

A diversa soluzione perviene, invece, per le unità da diporto utilizzate per la locazione, pure considerando, poi, che nella legislazione degli ultimi anni, si ravvisi un preciso intento di “consentire l'utilizzo delle unità da diporto in attività commerciali”.

Ai fini della prova dell’effettivo impiego delle unità da diporto nell’ambito di attività commerciali, poi, l’Agenzia delle Entrate aveva precisato di doversi fare riferimento agli obblighi di registrazione in vigore. Ed, allora, per le navi ed imbarcazioni da diporto era necessaria l'annotazione nei registri di iscrizione e sulla licenza di navigazione dell'utilizzo del bene per finalità di noleggio; per i natanti da diporto (che l' articolo 13, 3° comma, della legge n. 50 del 1971 non assoggettava all'obbligo di iscrizione nei registri marittimi), gli esercenti dell'attività di noleggio, oltre ad assolvere all'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, avrebbero dovuto comprovare di essere stati autorizzati dalla locale autorità marittima all'impiego dei natanti mediante contratti di noleggio [13] .

Seguendo il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate ed avendo riguardo al nuovo art. 2 del Codice della Navigazione da diporto, sembra potersi concludere allora che sussista la possibilità di applicare l’art. 8 bis citato a tutte le unità da diporto (e perciò non solo alle navi ed alle imbarcazioni di grosse dimensioni) quando:

a)siano “..oggetto di contratti di locazione e di noleggio”;

b) siano adibite a “l'insegnamento professionale della navigazione da diporto”;

c) siano utilizzate “..da centri di immersione e di addestramento subacqueo come unità di appoggio per i praticanti immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo….(omissis)>” [14] .

Ai fini della prova dell’effettivo impiego nell’ambito di tali attività commerciali, poi, onde poter fruire dell’agevolazione di cui all’art.8 bis citato, occorre che il tipo di attività esercitata risulti regolarmente annotata nei registri di iscrizione e sulla licenza di navigazione.

Laddove, poi, il D.Lgs. n.171/2005 non preveda alcun obbligo di iscrizione nei registri marittimi (come per i natanti), sembra doversi ritenere che gli esercenti dell'attività commerciale, potranno avvalersi dell’esclusione dal regime di imponibilità ai fini IVA, assolvendo all'obbligo di iscrizione dell’attività nel registro delle imprese, e provando di essere stati autorizzati dalla locale autorità marittima all'impiego dei natanti nell’ambito della loro attività.



[1] Il Decreto legislativo n. 171/2005 è stato pubblicato in GU n. 202 del 31-8-2005- Suppl. Ordinario n.148.

[2] Si ricorda, peraltro, che la mancanza del requisito territoriale non esclude il diritto alla detrazione e al rimborso dell'IVA pagata sugli acquisti, qualora le operazioni effettuate fuori dal territorio dello Stato, se effettuate nel territorio stesso, darebbero diritto alla detrazione dell'imposta (art. 19, terzo comma, lettera b).

[3] Si veda al riguardo la relazione ministeriale al D.D.L. 9.10.1971 n.825.

[4] Vale rammentare che secondo alcuni interpreti il regime di non imponibilità – che concerne sia le navi di nuova costruzione che quelle già in esercizio - ricorre da chiunque, a chiunque (imprenditori, enti pubblici o privati etc.) la cessione sia effettuata. Così Mandò – Mandò, Manuale dell’imposta sul valore aggiunto, Milano, 1999, 186 e ss.

Altri, invece, ritiene che deve trattarsi di navi acquistate da imprese che impiegano il mezzo in una delle attività agevolate. Così Portale, Imposta sul valore aggiunto, Milano, 1999, 120.

[5] Per un approfondimento sull’ambito di applicazione dell’art.8 bis citato, si veda altresì, R. Baggio, Il principio di territorialità e le esportazioni in AA.VV. L’imposta sul valore aggiunto, a cura di F. Tesauro, Torino, 2001, 820 e ss.

[6] Si veda la Risoluzione 26.10.1973, n.513156 del Ministero delle Finanze, in Sistema Fisco24 – Codice Tributario, Il sole 24 ore, 2005.

[7] Così si legge anche nella Risoluzione 21.03.2002, n. 94/E dell’Agenzia delle Entrate, in Sistema Fisco24 – Codice Tributario, Il sole 24 ore, 2005.

[8] La legge n.172/2003 è stata pubblicata in GU  del 14 luglio, n. 161.

[9] Al riguardo, giova ricordare che ai sensi dell’art.15 del D.Lgs. n.171/2005 le navi da diporto devono essere iscritte in registri tenuti dalle capitanerie di porto, le imbarcazioni da diporto devono essere iscritte in registri tenuti oltre che dalle capitanerie di porto, anche dagli uffici circondariali marittimi, dagli uffici provinciali del Dipartimento per i trasporti terrestri e per i sistemi informativi e statistici autorizzati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, mentre i natanti non richiedono alcuna iscrizione in pubblici registri.

[10] Si veda il, più volte richiamato, art. 2 del D.Lgs 18.07.2005 n.171.

[11] Si veda la Risoluzione 26.10.1973, n.513156 del Ministero delle Finanze, in Sistema Fisco24 – Codice Tributario, Il sole 24 ore, 2005.

[12] Così si legge anche nella Risoluzione 21.03.2002, n. 94/E dell’Agenzia delle Entrate, in Sistema Fisco24 – Codice Tributario, Il sole 24 ore, 2005. L’agenzia, peraltro, ha evidenziato che la medesima ratio si riscontrava, nell'ambito della normativa comunitaria, nella direttiva n. 92/81/CEE del 19 ottobre 1992, in materia di accise sugli oli minerali, la quale, all'articolo 8, paragrafo 1, lettera c), prevede l'esenzione dall'accisa per "gli oli minerali forniti per essere usati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), ma non in imbarcazioni private da diporto ".  Si veda Risoluzione 21.03.2002, n. 94/E dell’Agenzia delle Entrate, in Sistema Fisco24 – Codice Tributario, Il sole 24 ore, 2005.

[13] Oltre ad assolvere a tali adempimenti, perciò, i proprietari delle unità da diporto, che vogliano far rientrare le operazioni di forniture di carburanti nel regime di non imponibilità Iva, avrebbero dovuto assolvere agli specifici adempimenti amministrativi e contabili previsti per l'imbarco di prodotti petroliferi agevolati (fra cui la dotazione del libretto di controllo di cui all'articolo 4, comma 3, del citato decreto del Ministro dei trasporti n. 577 del 1995). Si veda, al riguardo, Risoluzione 21.03.2002, n. 94/E dell’Agenzia delle Entrate, in Sistema Fisco24 – Codice Tributario, Il sole 24 ore, 2005.

[14] Così il citato art. 2 del citato D.Lgs 18.07.2005 n.171.