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L'autotutela tributaria

Riv. dir. trib. 2001, 3, 441

  Katia Scarpa

SOMMARIO: 1. L'autotutela tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali. - 2. Uno sguardo ai poteri della pubblica amministrazione: il potere di autotutela. - 3. I poteri dell'amministrazione finanziaria ed i loro limiti. - 3.1. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria: il silenzio del legislatore e le interpretazioni della dottrina e della giurisprudenza. - 4. L'intervento del legislatore sull'autotutela dell'ente impositore. - 4.1. La legge n. 241/1990. - 4.2. La posizione giuridica del contribuente. - 4.3. La disciplina normativa: l'art. 68 del DPR n. 287/1992 e l'art. 2-quater del DL n. 564/1994. - 4.4. (Segue). La disciplina normativa: il regolamento per l'esercizio del potere di autotutela. - 5. La natura del potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria. - 5.1. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria come autotutela migliorativa per il contribuente. - 5.2. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria nel caso di definitività degli atti impositivi. - 6. La tutela del contribuente. - 6.1. La tutela del contribuente nel caso di mancato esercizio del potere di autotutela: la tutela del diritto soggettivo ad una tassazione adeguata al principio di capacità contributiva. - 6.2. (Segue). La tutela dell'interesse legittimo del contribuente all'esercizio del potere di autotutela. - 6.3. La tutela del contribuente nel caso di erroneo esercizio del potere di autotutela. - 7. Conclusioni.

1. L'autotutela tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali. - Da tempo i giudici di legittimità (1) sono ancorati a quell'orientamento interpretativo per cui dovrebbe escludersi un preciso dovere dell'amministrazione finanziaria di ritirare gli atti illegittimi, in quanto si tratterebbe di un'attività "discrezionale" che "implica l'apprezzamento dell'attuale interesse pubblico alla rimozione dell'atto ...e non... il mero ristabilimento dell'ordine giuridico violato" (2).
Sembra, però, che con un generico rinvio ai principi generali in materia di autotutela amministrativa (3) la Suprema Corte rinunci ad una presa di posizione che tenga conto della natura dei poteri che sono propri degli uffici finanziari.
Diversamente, non avrebbe potuto ignorare che il legislatore ha attribuito all'amministrazione finanziaria un potere peculiare, che la contraddistingue dagli altri settori pubblici: un potere di controllo (4), doveroso, perché finalizzato alla corretta esecuzione dell'obbligazione tributaria, che è peraltro un'obbligazione sui generis, trovando fonte di legittimazione anzitutto nella Carta costituzionale all'art. 53.
I Supremi Giudici di legittimità, poi, avrebbero potuto considerare che i vincoli legali che governano l'azione dell'ente impositore allorché procede all'accertamento tributario, non potrebbero venire meno qualora, in seconda istanza, esercitando il potere di autotutela, l'ente medesimo riveda la sua azione ed eventualmente annulli o confermi il provvedimento precedentemente adottato.
L'interpretazione della Corte di cassazione, invece - non tenendo conto neppure della differenziazione tra il momento del riesame e quello dell'annullamento - conduce al mero arbitrio del funzionario, che sarebbe titolare di un potere discrezionale di rivedere i propri atti e di confermare un avviso di accertamento tributario, ancorché sia stata riscontrata la presenza di motivi di illegittimità, qualora manchi quel (non meglio precisato) "interesse pubblico alla rimozione dell'atto", che solo renderebbe opportuna la sua eliminazione.
Siffatta discrezionalità del funzionario delle finanze, a ben guardare, è però disconosciuta dalla stessa amministrazione finanziaria la quale, da tempo, ha affermato che il potere di autotutela è volto alla "ottimizzazione del rapporto tra contribuente e fisco ed all'esigenza di tutelare l'interesse concreto ed attuale all'equità fiscale al buon andamento dell'azione amministrativa ed all'economicità ed efficacia della stessa" (5) e si estrinseca in un attività di "riesame, il cui esercizio si impone per corrispondere all'esigenza di correttezza ed imparzialità dell'azione amministrativa" (6) e, da ultimo, con il DM 11 febbraio 1997 n. 37 ha espressamente previsto un potere sostitutivo della Direzione Regionale delle Entrate per il caso di grave inerzia dell'ufficio competente(7).
Deve, inoltre, ritenersi che l'esercizio dell'autotutela sia un potere-dovere anche con riferimento ai massimi principi dell'ordinamento.
Il principio di doverosità dell'azione amministrativa, è, infatti, espressione di uno dei fondamenti della Carta costituzionale: il principio di legalità, consacrato agli artt. 97 e 23 Cost.
Il legislatore (in ossequio anche al principio di capacità contributiva, di cui all'art. 53 Cost.) ha rigorosamente disciplinato il potere dell'amministrazione finanziaria, vincolandolo a rigidi parametri di legge ed escludendo ogni discrezionalità in ordine all' an, al quomodo ed al quando dell'azione amministrativa, in funzione garantista della posizione giuridica del contribuente.
Considerando l'autotutela tributaria un potere discrezionale non doveroso, la Suprema Corte mostra perciò di mettere da parte gli stessi fondamenti (di rilevanza Costituzionale) del potere attribuito agli uffici delle finanze e di ignorare che in materia di prestazioni imposte l'interesse pubblico è quello alla "corretta imposizione fiscale" che sia, cioè, rispettosa dell'effettiva capacità economica del cittadino.
Vi è di più. Ammettere che la pubblica amministrazione, in sede di riesame, eserciti un potere discrezionale, non doveroso, né vincolato, vale a negare altres il principio di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost. nonché i principi di buona fede (che è corollario del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost.) e di efficienza posti dalla legge n. 241/1990 (8).
Con tale ultimo intervento, in particolare, il legislatore ha riconosciuto il bisogno di assicurare che le aspettative del privato siano curate in relazione ai fini pubblici da perseguire ed ha regolamentato il procedimento in cui si estrinseca il potere degli organi pubblici a garanzia di un corretto esercizio del potere da parte della pubblica amministrazione, imponendo il rispetto della trasparenza, efficacia ed economicità nell'azione amministrativa.
Uno studio del potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria non può, dunque, prescindere dall'analisi comparativa del medesimo potere attribuito agli altri organi pubblici, tenendo conto dei caratteri peculiari dell'azione dell'ente delle finanze nonché degli obblighi di correttezza imposti dal legislatore, alla luce dei principi costituzionali e delle direttive impartite dalla legge n. 241/1990 a garanzia di una buona amministrazione.
Sembra potersi concludere da ciò, che l'esame più approfondito del potere di autotutela nel diritto tributario avrebbe consentito di individuarne i caratteri che lo distinguono dal medesimo potere degli altri organi pubblici ed avrebbe permesso di rilevare che la tutela dell'affidamento (che discende dal ruolo partecipativo e collaborativo che viene attribuito al cittadino dalla legge sul procedimento amministrativo) deve essere riconosciuta, anche al contribuente che abbia confidato nel corretto esercizio dei poteri dell'amministrazione finanziaria (9).
2. Uno sguardo ai poteri della pubblica amministrazione: il potere di autotutela. (10) - Quando il legislatore conferisce alla pubblica amministrazione il potere di agire nell'esercizio delle proprie funzioni, attribuisce ad essa la capacità di intervenire, in concreto, nel momento in cui si realizza la fattispecie astrattamente delineata nella norma di legge, per perseguire l'interesse pubblico, alla cui cura è preposta.
Ciò comporta per l'amministrazione una verifica della conformità della fattispecie concreta alla previsione astratta della norma di legge e l'adozione del provvedimento più idoneo a disciplinare i singoli casi.
Pertanto, ogni attività della pubblica amministrazione costituisce manifestazione concreta del potere astrattamente attribuitole dalla legge.
Si distingue infatti un'attività di autorganizzazione degli uffici, espressione del potere di autonomia; un'attività di amministrazione attiva, preposta alla funzione esecutiva, e perciò al raggiungimento del fine pubblico, anche imponendo ad altri soggetti di tenere il comportamento più idoneo allo scopo pubblico, espressione del potere di autarchia; ed un'attività di riesame, volta alla autonoma risoluzione dei conflitti attuali e potenziali con i destinatari degli atti della pubblica amministrazione, espressione del potere di autotutela (11).
Il legislatore, attribuendo alla pubblica amministrazione quest'ultimo potere, persegue lo scopo di consentire alla stessa un intervento in via modificativa o caducatoria sull'atto precedentemente adottato onde prevenire la soluzione giurisdizionale del conflitto eventualmente insorgente con il destinatario dell'atto stesso ed al contempo assicurare il perseguimento dell'interesse pubblico ed il buon andamento dell'amministrazione in termini di efficacia, economicità e tempestività.
Si tratta di un potere discrezionale per cui l'autorità amministrativa ha la facoltà di rivedere i propri atti, non solo sotto il profilo della legittimità formale, ma pure sotto il profilo della effettiva idoneità a perseguire gli scopi di legge nel modo ottimale, riponderando gli interessi pubblici sottesi alla loro adozione.
Poiché si tratta di un potere di revisione di atti precedentemente adottati, viene in rilievo la stretta relazione intercorrente col potere di amministrazione attiva, il continuum tra l'originaria ponderazione degli interessi sottesi all'atto precedentemente adottato e quella in funzione di riesame.
Presupposto e limite dell'attività di autotutela, pertanto, sarebbe la permanenza dell'attribuzione del potere di amministrazione attiva in capo all'ente, nonché il non esaurimento degli effetti dell'atto precedentemente adottato e la legittimazione dello stesso organo che ha adottato il provvedimento (o di quello gerarchicamente superiore).
L'esercizio del potere di autotutela si estrinseca in un procedimento ad iniziativa d'ufficio e discrezionale, per cui non è ipotizzabile alcuna responsabilità della pubblica amministrazione nel caso di un silenzio - inadempimento a seguito di istanza del privato - interessato.
Durante la fase istruttoria e decisoria, la pubblica amministrazione è chiamata a rivedere i suoi atti verificandone la compatibilità con gli schemi legali ovvero l'effettiva idoneità al perseguimento dell'interesse pubblico di legge. In presenza di vizi, esercitando un potere discrezionale, dovrà decidere l'esito del procedimento, potendo provvedere alla rimozione ovvero alla conservazione o convalidazione dell'atto (sia quando l'illegittimità o l'inopportunità derivi da ragioni risalenti al momento della sua adozione, sia quando dipenda da ragioni sopravvenute) avendo riguardo esclusivamente all'interesse pubblico, che assume valenza dominante l'intero procedimento (12).
Il procedimento termina con l'adozione di un provvedimento (cd. di secondo grado) - con cui la pubblica amministrazione risolve il conflitto potenziale o attuale con il destinatario dell'atto di primo grado - che è atto discrezionale, obbligatoriamente motivato, dovendo risultare l'interesse pubblico perseguito.
Il potere di autotutela si traduce, pertanto, nell'adozione di provvedimenti di secondo grado (o di riesame) che possono avere natura repressivo caducatoria (atti di ritiro), modificativo conservativa (atti di convalidazione) ovvero natura confermativa (atti di conservazione), a seconda del prevalente interesse pubblico (13).
3. I poteri dell'amministrazione finanziaria ed i loro limiti. - All'amministrazione finanziaria il legislatore ha conferito il potere di agire e perciò la capacità di intervenire in concreto, per perseguire l'interesse pubblico al prelievo tributario.
Stante la peculiarità dell'interesse alla cui cura è preposta l'amministrazione finanziaria, i suoi poteri autoritativi assumono connotati peculiari che la distinguono dagli altri organi dell'amministrazione pubblica.
L'art. 53 Cost., infatti, nell'enunciare il principio fondamentale secondo cui tutti devono concorrere alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità contributiva, individua l'interesse pubblico nell'esigenza che tutti partecipino alle spese dello Stato.
Tale disposizione, però, è posta altres a tutela dell'interesse privato a non subire un pregiudizio da atti impositivi illegittimi, che superino il limite dell'attitudine oggettiva alla contribuzione.
In coerenza col principio espresso dall'art. 23 Cost., a tenore del quale nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge, il legislatore ha perciò rigidamente vincolato il potere impositivo, non lasciando alcun margine di valutazione discrezionale all'amministrazione finanziaria.
Pertanto, ogni attività dell'ente impositore, quale manifestazione concreta della potestà attribuita dal legislatore, deve svolgersi in modo imprescindibile ed obbligatorio nei limiti prefissati dalle norme di legge.
Dall'analisi di tali disposizioni si osserva che si tratta di un potere di controllo, volto alla verifica del corretto adempimento dell'obbligazione tributaria, posta dall'art. 53 Cost. e perciò finalizzato alla tutela dell'interesse al giusto prelievo fiscale, cioè rispettoso dell'effettiva attitudine contributiva del cittadino(14).
Poiché si tratta di un'attività vincolata, che impegna solo il giudizio dell'ente impositore, la sua discrezionalità è limitata alla verifica del presupposto di fatto dell'imposta ed alla valutazione degli elementi acquisiti alla stregua dei parametri di legge.
Il legislatore, infatti, ha espressamente regolato l'attività impositiva, disponendo che costituisce esercizio di uno specifico potere-dovere dell'amministrazione finanziaria l'attività di accertamento dei presupposti di imposta (avvalendosi di poteri di indagine e di iniziativa istruttoria), quella di espropriazione coattiva (che inizia con la formazione del ruolo e la notifica della cartella esattoriale) e quella di verifica tecnica del corretto versamento dell'imposta e di rettifica degli errori materiali e di calcolo (15).
3.1. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria - Fino al 1992 (quando con l'art. 68 del DPR n. 287/1992 il legislatore è intervenuto nella materia) era dubbio se potesse riconoscersi in capo all'amministrazione finanziaria la titolarità di un potere di autotutela.
Il problema del riconoscimento di siffatto potere in capo all'ente impositore si poneva, essenzialmente, con riferimento alla questione dell'ammissibilità o meno di un provvedimento di integrazione o rinnovazione di un avviso di accertamento viziato, in particolare, a seguito di impugnazione in sede giurisdizionale.
Al riguardo si fronteggiavano due diverse posizioni interpretative.
Parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva che all'amministrazione finanziaria non potesse riconoscersi il potere di rinnovare i propri atti, in quanto con l'emissione del primo avviso di accertamento avrebbe consumato il potere di accertamento d'imposta (17).
Altri invece ammettevano l'adozione di provvedimenti di secondo grado facendo leva, ora sui principi generali dell'ordinamento, ora su specifiche norme tributarie(18).
Secondo i principi cardine dell'ordinamento giuridico, l'esercizio del potere di autotutela appariva, infatti, essere sempre possibile, poiché è finalizzato al perseguimento del prevalente interesse pubblico alla giusta imposizione fiscale (19).
La fonte normativa del potere è stata individuata, invece, da alcuni nell'art. 34 del RDL 30 dicembre 1923 n. 3269. Con tale norma, infatti, il legislatore attribuendo all'amministrazione il potere di rinnovare la notificazione di un avviso di accertamento anche in caso di nullità della prima, avrebbe riconosciuto ad essa il potere di rivedere i propri atti e di adottare i provvedimenti di secondo grado più idonei al perseguimento dell'interesse pubblico.
Altri ha ritenuto, invece, che la fonte normativa del potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria dovesse rinvenirsi nelle disposizioni degli artt. 43 del DPR n. 600/1973 e 57 del DPR n. 633/1972 (20).
Disponendo che l'amministrazione finanziaria può procedere ad integrare o modificare in aumento un atto di accertamento, qualora sia venuta a conoscenza di nuovi elementi non conosciuti né conoscibili al momento del primo accertamento (21), il legislatore avrebbe, infatti, conferito all'ente impositore il potere di aggiungere nuovi elementi utili ai fini della determinazione del presupposto d'imposta nonché il potere di rivedere i propri atti e quindi di revocarli, ma esclusivamente ai fini dell'aumento dell'imponibile accertato.
Si tratterebbe pertanto di un autotutela non satisfattiva per il contribuente.
A diversa conclusione è pervenuta parte della giurisprudenza (22), la quale, traendo spunto dagli artt. 36 bis del DPR n. 600/1973 e 41 del DPR n. 602/1973, ha ritenuto che l'autotutela sia un potere volto alla corretta imposizione fiscale e perciò non necessariamente sfavorevole al contribuente. Ciò in quanto sarebbe preciso obbligo (23) dell'ufficio impositore correggere gli errori, anche propri - cioè non solo quelli contrari al contribuente (da cui insorgesse l'obbligo di corrispondere una maggiore imposta) ma anche quelli a lui favorevoli (da cui derivasse un suo diritto ad una minore imposta oppure al rimborso di quanto già pagato ed il conseguente obbligo a carico dell'Erario di provvedervi) - essendo pacifico che la dichiarazione dei redditi si estrinseca in una manifestazione di scienza che può essere corretta fino a quando non sia divenuto definitivo il rapporto d'imposta (24).
Vi è stato poi chi ha ricondotto il potere di autotutela all'art. 21 del DPR n. 636/1972 ritenendo che il legislatore, laddove ha disposto la sospensione del processo tributario in presenza di vizi di incompetenza o, comunque, non attinenti all'esistenza o all'ammontare del credito tributario, avrebbe consentito all'amministrazione di rinnovare l'atto impugnato, conferendo all'ente impositore solamente un potere di autotutela satisfattivo delle pretese del ricorrente, nell'ambito del rapporto processuale (25).
Sulla questione la Corte di cassazione (26) (nel vigore del DPR n. 636/1972) aveva precisato: in via preliminare che non si dovesse confondere il potere processuale delle Commissioni tributarie di disporre la rinnovazione dell'atto impugnato ai sensi dell'art. 21 del DPR n. 636/1972 con il potere sostanziale dell'amministrazione finanziaria di correggere gli errori dei propri provvedimenti entro i termini di legge, quindi, che l'art. 43 del DPR n. 600/1973, costituirebbe la fonte normativa cui ricondurre solamente il potere di integrare o modificare in aumento l'atto di primo grado che, sebbene illegittimo, presenti i requisiti minimi essenziali per la sua esistenza; infine, che ove l'atto sia inesistente, il potere di correzione sarebbe attribuito all'ente impositore dai principi generali dell'ordinamento giuridico.
Secondo la Suprema Corte, anche dopo la decisione dei giudici tributari, l'amministrazione finanziaria avrebbe il potere di rivedere i propri atti, riponderando i presupposti dell'imposizione, ed il potere di adottare un secondo atto di accertamento che però non violi né eluda il giudicato e non sia perciò riproduttivo di quello annullato, ma si limiti a correggere i vizi formali (27).
L'esercizio del potere di autotutela - secondo il parere della Corte di cassazione - si estrinseca, pertanto, in un'attività di riesame, per cui l'ente impositore considerati i presupposti dell'imposizione e le ragioni trascurate nel primo atto adottato (motivandone l'esclusione dall'avviso originario e la successiva necessaria considerazione) procede al suo annullamento ed all'adozione di un nuovo provvedimento, senza però eludere l'accertamento dei fatti materiali acquisiti nella sentenza passata in giudicato.
Dopo la riforma del contenzioso tributario del 1992, la posizione della giurisprudenza di legittimità non è mutata ed è rimasta ancorata all'interpretazione secondo cui anche in materia tributaria l'autotutela costituisce attività discrezionale, che "implica l'apprezzamento all'attuale interesse pubblico alla rimozione dell'atto" (28).
4. L'intervento del legislatore sull'autotutela dell'ente impositore. - Il legislatore ha colmato la lacuna normativa, intervenendo nella materia con le disposizioni contenute negli artt. 68, comma 1, del DPR n. 287/1992 (29), e 2-quater del DL n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994 (30).
Tuttavia non ha risolto i dubbi sollevati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, riguardo alla natura del potere di autotutela dell'ente impositore e dell'attività attraverso cui esso si esercita.
Resta aperta, soprattutto, la questione della discrezionalità od obbligatorietà dell'attività dell'amministrazione finanziaria, con riferimento alla tutela del contribuente di fronte ad atti contrari al principio di capacità contributiva.
Tale problema va inquadrato nell'ambito dell'analisi dell'attività amministrativa tributaria in relazione ai principi espressi dalla legge n. 241/1990 ed alla natura della posizione giuridica assunta dal contribuente.
4.1. La legge n. 241/1990. - Con la legge 7 agosto 1990 n. 241 il legislatore ha anzitutto affermato il principio secondo cui l'attività amministrativa è sempre vincolata ai fini determinati dalla legge (31) ed è retta dai criteri di economicità, efficacia e pubblicità per un buon andamento della pubblica amministrazione(32).
Dall'analisi delle disposizioni normative sul procedimento amministrativo è stata sottolineata in dottrina l'attenzione del legislatore per il destinatario del provvedimento, al quale deve essere riconosciuto un ruolo partecipativo e collaborativo con la pubblica amministrazione e conseguentemente una posizione giuridica da tutelare sia in sede giustiziale che giurisdizionale.
Con riferimento alle disposizioni sul procedimento, inoltre, si è osservato che la pubblica amministrazione avrebbe un preciso obbligo di provvedere in presenza di quelle circostanze che l'art. 2 della legge n. 241/1990 indica quali presupposti per l'apertura del procedimento (33).
L'art. 2 distingue, infatti, il caso in cui il procedimento "consegua obbligatoriamente ad una istanza" da quello ad iniziativa "d'ufficio".
Secondo l'interpretazione accolta dalla dottrina prevalente, non appena si configuri in concreto l'esigenza di cura di un interesse pubblico, nonché a seguito di specifica richiesta del soggetto interessato, la pubblica amministrazione deve aprire il procedimento amministrativo, avendo un obbligo giuridico di procedere.
Dopo la comunicazione dell'avvio del procedimento inizia la fase istruttoria, nel corso della quale l'amministrazione procedente pone in essere tutti gli atti che sono strumentali all'adozione del provvedimento finale.
Alla luce di tali disposizioni normative, (anticipando quanto si analizzerà in seguito (34)) anche con riferimento all'esercizio del potere di autotutela degli uffici finanziari sussisterebbe, dunque, un preciso obbligo di procedere in presenza di un interesse pubblico concreto all'apertura del procedimento, perché il legislatore tributario ha disciplinato la materia rispettando le tipologie previste dall'art. 2 della legge n. 241/1990 (35).
Il regolamento approvato con DM 11 febbraio 1997 n. 37, infatti, afferma che l'amministrazione "può procedere in tutto o in parte all'annullamento o alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte". Si tratta, dunque, di un procedimento ad iniziativa d'ufficio, in cui la richiesta di parte si limita ad assumere il ruolo di strumento di collaborazione, per il buon andamento dell'attività amministrativa.
A seguito di istanza di annullamento d'ufficio, esiste, però, un obbligo di procedere e cioè di riesaminare i propri atti verificando se sussistano i presupposti per l'eliminazione, la sanatoria ovvero la conferma del provvedimento di primo grado.
Sulla base della legge n. 241/1990 ed in particolare con riferimento al disposto per cui la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il procedimento con un atto espresso, motivato, deve ritenersi che, anche nell'esercizio del potere di autotutela, gli uffici finanziari abbiano il dovere di pronunciarsi con un provvedimento motivato.
Nel caso in cui si configuri in concreto l'esigenza di cura dell'interesse pubblico alla corretta imposizione tributaria, ovvero vi sia una specifica richiesta dell'interessato, e la pubblica amministrazione rimanga inerte non può negarsi, perciò, al contribuente la possibilità di adire gli organi giurisdizionali a tutela della propria posizione giuridica lesa illegittimamente (36).
4.2. La posizione giuridica del contribuente. (37) - L'art. 53 Cost. - nell'enunciare il principio fondamentale secondo cui tutti devono concorrere alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità contributiva - individua l'obbligo del contribuente di pagare il tributo e specularmente il diritto dello stesso a non subire un sacrificio eccessivo rispetto alla sua concreta attitudine contributiva.
Sulla base di tale disposizione, parte della dottrina e della giurisprudenza ha inquadrato la posizione giuridica del contribuente nell'ambito dei diritti soggettivi.
In considerazione del fatto che la legittimità dell'atto impositivo rende incontrovertibile l'obbligo impositivo, precludendo al contribuente ogni tutela del diritto alla giusta tassazione, altra parte della dottrina ha invece configurato la condizione giuridica del contribuente come interesse legittimo.
L'interesse legittimo è una posizione giuridica di vantaggio in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo, riconosciuta esclusivamente a quei soggetti che rispetto al potere stesso si trovino in una posizione legittimante (per la preesistenza di un precedente rapporto giuridico) che consiste nell'attribuzione al medesimo soggetto di poteri e facoltà atti ad influire sul corretto andamento dell'azione amministrativa, in modo da rendere possibile la realizzazione dell'interesse al bene (38).
Poiché però il contribuente dispone di mezzi di tutela più ampi e penetranti di quelli concessi al titolare di un interesse legittimo - che riceve una protezione solamente mediata, in concomitanza e per effetto della tutela primaria accordata all'interesse pubblico cui è connesso - altro orientamento interpretativo ha ritenuto che la posizione giuridica del contribuente dovesse configurarsi come diritto soggettivo ad una tassazione adeguata alla sua effettiva capacità contributiva, che subisce un affievolimento qualora l'atto impositivo definitivo non sia conforme al reale stato di fatto.
Tale soluzione interpretativa viene avvalorata altresì da quanti considerano che - in virtù del particolare rapporto giuridico instaurato tra l'ente impositore ed il soggetto passivo d'imposta - al contribuente si deve comunque riconoscere ab origine l'interesse legittimo al corretto esercizio delle potestà della pubblica amministrazione, ma che tale posizione giuridica del contribuente verrebbe, di fatto, in rilievo solamente dopo il decorso dei termini entro i quali è accordata la tutela del diritto.
Il contribuente, dunque, di fronte all'esercizio del potere impositivo gode del diritto soggettivo ad una tassazione adeguata alla sua capacità contributiva, tutelabile dinanzi alla Commissione tributaria, entro i termini di legge, e pure di un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri dell'amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio di legalità.
Scaduti i termini di definitività del provvedimento impositivo, non potendo più adire gli organi della giustizia tributaria, il soggetto passivo di imposta illegittimamente danneggiato da un comportamento dell'amministrazione finanziaria trova, pertanto, tutela in concreto solo innanzi agli organi della giustizia amministrativa (39).
4.3. La disciplina normativa: l'art. 68 del DPR n. 287/1992 e l'art. 2-quater del DL n. 564/1994. - Il legislatore tributario ha attribuito espressamente il potere di autotutela all'amministrazione finanziaria, statuendo all'art. 68 del DPR 287/1992 (40), comma 1, "salvo che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell'amministrazione finanziaria possono procedere all'annullamento, totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con provvedimento motivato, comunicato al destinatario dell'atto".
La disposizione legislativa si presenta alquanto indeterminata.
Dall'analisi della norma si evince che durante il procedimento, la pubblica amministrazione verifica l'esistenza di vizi ed in loro presenza può provvedere alla rimozione totale o parziale dell'atto, nel perseguimento dell'interesse pubblico.
Irrisolta rimane, però, la questione relativa alla natura del potere dell'ente impositore, alle modalità del suo esercizio ed al ruolo del privato nell'ambito del procedimento, in particolare nel caso di mancata impugnazione (e di decadenza dal potere di azione giurisdizionale).
La disposizione dell'art. 68 del DPR n. 287/1992 è stata poi ripresa dall'art. 2-quater del DL n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994 (41).
Con quest'ultimo intervento, il legislatore ha risolto solamente in parte i dubbi interpretativi sollevati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Nulla ha disposto, infatti, in ordine alle modalità di esercizio del potere di autotutela, delegando al Ministro delle finanze l'indicazione degli "organi dell'amministrazione finanziaria competenti" e dei "criteri di economicità in base ai quali si inizia o si abbandona l'attività dell'amministrazione".
Ha chiarito, invece, che l'esercizio del potere comporta, oltre all'annullamento d'ufficio, "la revoca degli atti illegittimi o infondati, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità", distinguendo nettamente il momento della definitività dell'atto amministrativo dalla res judicata, che si realizza quando siano stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione contro l'atto medesimo.
Decorso il termine per l'impugnativa dell'atto impositivo, allora, ancorché questo diventi definitivo, l'amministrazione finanziaria potrà annullarlo - in tutto o in parte - d'ufficio, se risulti illegittimo o infondato (42).
Così, la disposizione ha escluso che la definitività esplichi un effetto sanante dell'eventuale illegittimità dell'atto (43) ed ha ampliato l'esercizio del potere di autotutela al momento in cui il contribuente non potrebbe più agire con ricorso dinanzi alla Commissione tributaria.
Il Ministero delle finanze, con Circolare n. 450/1994 ha ritenuto, inoltre, che sono suscettibili di annullamento tutti gli atti contro i quali è ammesso ricorso alla Commissione tributaria. Ciò si desumerebbe dall'elencazione contenuta nel comma 1 dell'art. 19 del DPR n. 546/1992 che li configura espressamente alle lett. da a) a h) ammettendo la categoria residuale di cui alla lett. i), comprensiva di ogni altro atto per il quale la legge preveda l'autonoma impugnabilità.
Con la medesima Circolare, il Ministero ha poi chiarito il significato da attribuire ai termini illegittimo ed infondato.
Il legislatore alluderebbe ai casi di duplicazione dell'obbligazione tributaria, omonimia, iniziale mancanza di documentazione, successivamente sanata (ove non sussista inammissibilità o non sia maturata decadenza), errore logico o di calcolo e di aperto travisamento dei fatti posti a base del provvedimento emanato (errore di fatto sulla valutazione della base imponibile nell'applicazione dell'imposta di registro).
4.4. (Segue). La disciplina normativa: il regolamento per l'esercizio del potere di autotutela. - Il Ministro della finanze, in attuazione della delega conferitagli dal legislatore del 1994, ha predisposto il regolamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, approvato con DM 11 febbraio 1997 n. 37 (44).
L'art. 1 di tale regolamento individua l'organo competente per l'esercizio del potere di annullamento nell'"ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d'ufficio ovvero... alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l'ufficio stesso dipende".
La Direzione regionale o compartimentale interviene in via sostitutiva, "in caso di grave inerzia".
La fase istruttoria e decisoria del procedimento di autotutela è regolata dagli artt. 2, 7 e 8.
Ai sensi dell'art. 2, l'amministrazione finanziaria verifica l'esistenza di vizi di legittimità (45) e "può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento d'ufficio, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità", dando priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale ed in particolare a quelle per cui sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso (46).
Il Ministro delle finanze non chiarisce, però, se l'autotutela sia un potere-dovere (il cui esercizio è, pertanto, obbligatorio per l'amministrazione finanziaria e vincolato ai presupposti di legge) ovvero un potere discrezionale (che l'amministrazione può esercitare, in quanto lo richiedano esigenze di mera opportunità nel perseguimento del solo interesse pubblico alla riscossione delle Entrate).
Si limita a disporre (all'art. 8) i "criteri di economicità per l'inizio o l'abbandono dell'attività amministrativa" - rinviando a successivi decreti da emanarsi - e (artt. 7 e 5) i "criteri di economicità per l'inizio o l'abbandono dell'attività contenziosa".
L'art. 7 precisa, infatti, che l'inizio o l'abbandono dell'attività contenziosa deve essere valutato tenendo conto delle rilevazioni da parte degli uffici, sui "motivi per cui più frequentemente i ricorsi avverso gli atti degli uffici periferici e centrali sono accolti o respinti dalle Commissioni tributarie" (47), e della giurisprudenza consolidata nella materia, sulla base delle direttive predisposte dalle Direzioni dei Dipartimenti nonché "sulla base del criterio della probabilità della soccombenza e della conseguente condanna ... al rimborso delle spese di giudizio".
L'art. 5 attribuisce al contribuente la legittimazione a richiedere l'annullamento degli atti di cui si contesti l'illegittimità.
Infine, l'art. 4 regola il particolare procedimento in cui si estrinseca l'esercizio del potere di autotutela, "nel caso in cui l'importo dell'imposta, sanzioni e accessori oggetto di annullamento o dell'agevolazione superi un miliardo".
5. La natura del potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria. - Questione irrisolta dal recente intervento normativo rimane quella relativa alla natura del potere di autotutela in ambito tributario.
Ci si chiede, cioè, se debba farsi riferimento ai principi generali che governano l'agire della pubblica amministrazione per concludere che si tratti di un potere discrezionale dell'amministrazione finanziaria ovvero se i caratteri dell'azione amministrativa dell'ente impositore contraddistinguano anche l'esercizio del potere di autotutela, che, pertanto, si prospetterebbe più propriamente come un potere-dovere, vincolato alle disposizioni di legge.
In considerazione della stretta connessione che lega il potere di autotutela al potere di amministrazione attiva (ancorché si tratti di due poteri differenziati, funzionali al perseguimento di diversi interessi pubblici primari) sembrerebbe doversi ritenere che entrambi i poteri partecipino della medesima natura. Pertanto il potere di autotutela dell'ente impositore si prospetterebbe più propriamente quale esercizio di un'attività vincolata alla legge.
L'interesse al prelievo dei tributi in ragione dell'effettiva ricchezza prodotta dal contribuente, nel rispetto delle regole tecnico-procedimentali imposte dal legislatore costituirebbe, dunque, il vincolo legale per l'esercizio non solo dell'attività impositiva, ma altresì dell'attività di riesame.
La discrezionalità dell'amministrazione finanziaria sarebbe, allora, limitata alla verifica tecnica dell'esistenza di vizi dell'atto, nonché della conformità della fattispecie concreta alla previsione astratta della norma di legge.
In presenza di vizi dell'atto, pertanto, l'ente impositore deve ritenersi obbligato al suo ritiro (ovvero alla sua convalidazione) e non potrà discrezionalmente decidere per la sua conferma (48).
Tale conclusione appare pacifica con riferimento esclusivo al momento dinamico dell'attività di riesame. Sarebbe, infatti, estraneo ad ogni logica giuridica vincolare a rigidi parametri di legge l'adozione di un provvedimento amministrativo e poi riconoscere che lo stesso possa essere (in seconda istanza) riguardato, nonché modificato a discrezione dell'organo procedente.
L'aver messo in luce che la natura del potere impositivo connota di caratteri peculiari altresì il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria conduce a rilevanti considerazioni anche in ordine al momento statico, che precede l'esercizio del potere stesso.
Non è chiaro, al riguardo, se, per il principio di legalità e di tassatività dell'attività impositiva, debba attribuirsi all'ente delle Finanze un preciso obbligo di riesame.
Le disposizioni legislative non risolvono la questione, disponendo soltanto che l'esercizio del potere di annullamento si estrinseca in un procedimento ad iniziativa d'ufficio ovvero ad istanza del privato (49).
Occorre, pertanto, fare riferimento alle diverse ipotesi in cui il potere di autotutela si eserciti d'ufficio ovvero a seguito di un'espressa richiesta avanzata dal contribuente.
Nel primo caso si registra un vuoto normativo, in quanto anche il regolamento ministeriale non stabilisce i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l'attività di autotutela.
Tale vuoto non sembra potersi colmare attraverso il ricorso ai principi generali, per concludere che il potere di riesame si atteggi a facoltà dell'ufficio, sulla base della mera opportunità.
Infatti, frequentemente l'amministrazione finanziaria utilizza, ai fini impositivi, dati e notizie provenienti da altri organi e uffici della pubblica amministrazione (si pensi all'utilizzazione ai fini tributari dei documenti probatori acquisiti dalla Guardia di finanza nel corso delle indagini penali, ovvero alla documentazione fornita dal Comune di domicilio fiscale del contribuente che partecipa all'accertamento) (50).
In tali casi, se si riflette sulla natura del potere accertativo, che non è un potere discrezionale, ma è un potere vincolato, ci si avvede che l'ente impositore ha l'obbligo (non avendo spazi di discrezionalità) di agire per conseguire il fine che la legge assegna ad esso (cioè un accertamento adeguato alla capacità contributiva del soggetto passivo) e che uno degli strumenti per il conseguimento del fine (obbligatorio) è quello del riesame dei nuovi elementi acquisiti (direttamente o dall'esterno). Diversamente - se il riesame costituisse una facoltà - anche il fine (di conseguire l'interesse pubblico alla corretta tassazione) resterebbe mera previsione astratta.
Pertanto, laddove si pervenga a conoscenza di elementi di fatto nuovi acquisiti da organi esterni o anche a seguito di una più solerte verifica interna, deve ritenersi che l'ente impositore sia obbligato al riesame e perciò (ove l'originario accertamento si dimostri inadeguato) all'annullamento dell'atto illegittimo.
Inoltre, va osservato che il regolamento per l'esercizio del potere di annullamento, laddove ha stabilito i criteri di economicità per l'inizio o l'abbandono dell'attività contenziosa, ha disposto implicitamente anche un principio direttivo in base al quale esercitare il potere di autotutela (51).
L'esigenza di evitare un danno (derivante dalla soccombenza in giudizio) - in coerenza con il principio di economicità dell'azione amministrativa, di cui alla legge n. 241/1990 - deve essere intesa, infatti, quale preciso obbligo (non mera facoltà) dell'ente impositore, che dovrà dunque provvedere al riesame dei propri atti ed eventualmente all'abbandono delle liti già iniziate.
Nel caso in cui si appalesi altamente probabile il rischio della soccombenza in sede di giudizio e della conseguente condanna al rimborso delle spese, però, l'amministrazione finanziaria ha da una parte il potere di abbandonare le liti, dall'altra il dovere di non sacrificare il diritto del contribuente alla giusta imposizione tributaria.
Dunque, laddove decida di non intraprendere (o proseguire) un'attività contenziosa inutile alla stregua dei criteri di economicità e di probabilità della soccombenza, l'amministrazione deve intendersi obbligata al ritiro ovvero alla sanatoria dell'atto di cui riconosca l'illegittimità
A tale conclusione si perviene altresì ove si consideri che l'art. 1 del DM n. 53/1997 attribuisce alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale l'ufficio dipende un potere di intervento in via sostitutiva per il caso di "grave inerzia".
Infatti, a fronte di un potere di intervento meramente discrezionale non sarebbe possibile configurare alcuna inerzia, tale essendo solo l'omissione colposa di un preciso obbligo giuridico di intervenire.
L'amministrazione finanziaria ha, dunque, un preciso obbligo di rivedere i propri atti e di ripristinare l'equità fiscale e la correttezza della propria azione, che discende dai principi costituzionali di legalità, buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, ed esclude ogni discrezionalità (52).
La natura del potere di amministrazione attiva dell'ufficio impositore, nonché i criteri direttivi espressi dalla legge n. 241/1990 (53) (ed in particolare l'esigenza di tutela dell'affidamento del destinatario dei provvedimenti dell'amministrazione) acquistano rilievo decisivo anche per l'analisi del caso in cui vi sia un'espressa richiesta del privato a che l'amministrazione finanziaria eserciti il potere di autotutela.
Al riguardo, occorre considerare la posizione giuridica del contribuente.
In presenza di un atto suscettibile di impugnativa giurisdizionale, il diritto soggettivo ad un'imposizione fiscale rispettosa del principio di capacità contributiva e la natura vincolata del potere impositivo (di cui il potere di autotutela costituisce un continuum), autorizzano a ritenere che l'amministrazione finanziaria sia obbligata a rivedere i propri atti, onde evitare di ledere il contribuente-destinatario (54).
Qualora siano scaduti i termini di impugnazione dell'atto (di cui si contesti la legittimità), del pari sembrerebbe sussistere un obbligo per l'ufficio delle finanze di agire nel conseguimento dell'interesse pubblico ad una giusta imposizione e perciò di esercitare l'autotutela in presenza di quegli elementi resi noti dal contribuente per cui appaia dubbia la legittimità degli atti di primo grado.
A tale considerazione si perviene ove si osservi che il regolamento per l'esercizio del potere di annullamento attribuendo espressamente al contribuente un ruolo d'impulso e di partecipazione nell'ambito del procedimento di autotutela (in coerenza con i principi di trasparenza ed efficacia dell'attività amministrativa, di cui alla legge n. 241/1990), gli riconosce la titolarità dell'interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri dell'amministrazione finanziaria (55).
Tale ruolo partecipativo e collaborativo è, infatti, espressione di una posizione giuridica differenziata e qualificata, che non solo limita l'esercizio del potere dell'ente impositore nella fase decisoria del procedimento di autotutela, ma determina un obbligo per lo stesso al perseguimento dell'interesse (che è al contempo pubblico e privato) ad una imposizione rispettosa del principio di capacità contributiva.
L'amministrazione finanziaria ha, dunque, sempre un preciso obbligo di riesaminare i propri atti, in ragione dell'esigenza di ripristinare l'equità fiscale e la correttezza della propria azione, che esclude ogni discrezionalità, sia perché l'esercizio dell'attività amministrativa è vincolata nel fine, precostituito dalla legge (che fissa i criteri per la misura della giusta tassazione), sia perché deve essere retta dal principio di imparzialità, onde evitare vistose differenziazioni tra fattispecie simili.
Dalle considerazioni precedenti, nonché dall'esame delle disposizioni di legge, sembrerebbe doversi concludere, inoltre, che l'esercizio del potere di autotutela si estrinseca in un procedimento, ad iniziativa d'ufficio o su istanza di parte, che è sempre obbligatorio e vincolato, ed il cui presupposto è la permanenza dell'attribuzione del potere di amministrazione attiva dell'ente impositore (di cui però assume autonomo rilievo il momento dell'accertamento), salvo il limite dell'intervenuto giudicato.
Ai sensi dell'art. 1 del regolamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio la legittimazione compete allo stesso ufficio che ha adottato il provvedimento di primo grado (o "in caso di grave inerzia" a quello gerarchicamente superiore).
Durante la fase istruttoria e decisoria del procedimento, l'ufficio delle finanze deve riesaminare i propri atti (solamente sotto il profilo della legittimità formale, poiché si tratta di un potere vincolato, non discrezionale) verificare l'esistenza di cause di illegittimità e qualora rilevi l'esistenza di un vizio, ha l'obbligo di provvedere alla sua rimozione ed eventualmente alla sostituzione con altro corretto ed adeguato alla capacità contributiva del privato.
Il procedimento termina, quindi, con l'adozione di un provvedimento di secondo grado, con cui la pubblica amministrazione risolve il conflitto potenziale o attuale con il destinatario del proprio atto precedentemente adottato.
5.1. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria come autotutela migliorativa per il contribuente. - Con l'art. 68 del DPR n. 287/1992 e l'art. 2-quater della legge n. 656/1994, il legislatore , attribuendo all'amministrazione finanziaria la potestà di riesame dei propri atti e di adozione del provvedimento di secondo grado più idoneo alla realizzazione dell'interesse pubblico alla giusta imposizione, ha riconosciuto altresì il potere di integrare o modificare l'atto di primo grado, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi.
Il coordinamento delle norme sull'autotutela con quelle sul potere di accertamento integrativo, mette in rilievo, in particolare, che, mentre per le modifiche in aumento permane il termine di cui all'art. 43 del DPR n. 600/1973, il potere di correzione in diminuzione può essere esercitato fino a quando non sia intervenuto il giudicato (56).
Ci si avvede, perciò, che il legislatore ha ampliato l'ambito di esercizio del potere senza limitarlo ad un'attività di autotutela non satisfattiva, riconoscendo, al contrario, un'autotutela migliorativa per il contribuente.
A tale conclusione si giunge altresì ove si analizzino le disposizioni legislative, alla luce dei criteri programmatici espressi dalla legge 7 agosto 1990 n. 241.
Con tale intervento normativo, infatti, il legislatore ha disposto una disciplina generale dell'attività e del procedimento amministrativo, offrendo precise garanzie di trasparenza, efficienza e qualità ai privati coinvolti nei singoli procedimenti.
In ambito tributario, questi principi informatori dell'attività amministrativa, sottendono una maggiore attenzione per la tutela del contribuente, in considerazione altresì del particolare interesse pubblico perseguito dall'amministrazione finanziaria.
L'ente impositore, non tende solo al conseguimento di un'entrata derivante dalla realizzazione in concreto dell'obbligo di contribuzione alla spesa pubblica, ma anche alla giusta imposizione tributaria, nel rispetto della posizione giuridica del contribuente, ai sensi dell'art. 53 Cost.
Deriva da ciò che l'interesse pubblico non possa essere conseguito pienamente senza avere contestualmente riguardo anche al contrapposto interesse privato.
Pertanto, anche nell'ambito dell'esercizio del potere di autotutela emerge l'avvicinamento dell'interesse pubblico e dell'interesse privato, sicché non può escludersi che l'attività dell'amministrazione finanziaria sia migliorativa per il contribuente.
Trattandosi di una normativa favorevole al privato, gli artt. 68 del DPR n. 287/1992 e 2-quater della legge n. 656/1994 devono essere interpretati nel senso per cui l'ufficio delle finanze è titolare di un potere di riesame e di rinnovazione, ovvero integrazione non solo in aumento, ma anche in diminuzione (indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi e senza termini di decadenza, salvo l'intervenuto giudicato), il cui esercizio, ricorrendo le condizioni che determinano l'illegittimità o l'infondatezza dell'atto, si impone per corrispondere all'esigenza di correttezza e di imparzialità dell'azione amministrativa(57).
Ed infatti il Ministero della finanze con diverse Circolari (58) ha chiarito che il legislatore nell'intento di garantire la trasparenza, l'efficienza e l'economicità dell'azione amministrativa ha attribuito agli uffici il potere di correggere i propri atti viziati, in particolare quando ledano i diritti del cittadino e sussista, pertanto, un interesse pubblico rafforzato a ripristinare la correttezza e l'equità dell'azione amministrativa. Allo scopo di modificare la configurazione dei rapporti tra fisco e cittadino-contribuente, ha, inoltre, riconosciuto a quest'ultimo la tutela dei propri diritti e, in particolare, a non essere leso nella propria sfera patrimoniale per effetto di provvedimenti illegittimi, che impongano il pagamento di somme non dovute, anche qualora l'illegittimità derivi da ragioni risalenti al momento dell'adozione dell'atto.
5.2. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria nel caso di definitività degli atti impositivi. - L'art. 68 del DPR n. 287/1992 dispone che il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria può essere esercitato con un unico limite: il sopravvenuto giudicato.
In sede interpretativa ci si è chiesti se il legislatore con il termine "giudicato" abbia voluto ricomprendere anche quello di "definitività" dell'atto dell'amministrazione finanziaria.
La questione nasceva in sede di valutazione di opposte esigenze: quella alla stabilità e certezza del rapporto giuridico-tributario definitivo (e perciò l'immodificabilità degli effetti prodotti dagli atti definitivi d'imposizione), ma pure quello per cui la pretesa tributaria deve essere conforme alla reale attitudine contributiva del soggetto (59).
Il legislatore tributario, accogliendo l'orientamento della dottrina prevalente e della stessa amministrazione finanziaria (60) (per cui i due concetti di giudicato e di definitività dell'atto per decorso dei termini di impugnazione dovessero essere distinti), ha, poi, chiarito, con l'art. 2-quater del DL n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994, che decorso il termine per l'impugnativa dell'atto impositivo, ancorché questo diventi definitivo, l'amministrazione finanziaria potrà annullarlo d'ufficio, ove ne riconosca l'illegittimità o infondatezza.
Dubbia però rimane la questione circa l'interesse da privilegiarsi e cioè se quello del privato al ripristino di una tassazione conforme al principio di capacità contributiva, oppure quello pubblico alla stabilità e certezza del rapporto giuridico tributario (e perciò al mantenimento della posizione di vantaggio acquisita dall'amministrazione finanziaria (61)).
Ci si domanda, in particolare, se anche in presenza di un atto divenuto definitivo permanga l'obbligo per l'ente impositore di rivedere i propri atti e di procedere alla loro correzione e quali siano i termini entro cui sia tenuto ad esercitare siffatto potere.
Al riguardo, occorre nuovamente considerare la stretta relazione intercorrente tra il potere di riesame ed il potere di amministrazione attiva, nonché la natura del provvedimento di secondo grado adottato dall'amministrazione finanziaria.
Poiché il potere di autotutela comporta la revisione di atti precedentemente adottati, deve ritenersi che il limite per il suo esercizio sia la permanenza del potere di amministrazione attiva in capo all'ente impositore (62).
Pertanto, l'ente delle finanze dovrà procedere alla revisione dei propri atti (e sarà sempre obbligato in presenza dei presupposti per l'esercizio del potere di autotutela d'ufficio ovvero a richiesta del contribuente) fino a quando sia titolare del potere impositivo.
Occorre però distinguere le diverse ipotesi in cui l'ufficio delle finanze intenda procedere ad una integrazione in aumento ovvero in diminuzione.
Nel primo caso, il legislatore ha espressamente imposto un termine per l'accertamento integrativo (art. 43 del DPR n. 600/1973 (63)), che deve intendersi quale limite altresì all'esercizio del potere di autotutela.
Qualora, invece, l'amministrazione finanziaria intenda procedere alla correzione dei propri atti, in diminuzione, unico limite imposto sembra essere l'intervenuto il giudicato.
In considerazione, però, del principio per cui l'annullamento di un atto non può spingersi fino all'eliminazione di situazioni irrevocabili ed esauritesi nel tempo ( factum infectum fieri nequit), sembra più consono aderire alla posizione interpretativa per cui quando sia trascorso un periodo di tempo adeguatamente lungo, durante il quale l'atto abbia esplicato i propri effetti senza alcuna contestazione, non può non ritenersi prevalente l'interesse alla certezza e alla stabilità delle situazioni giuridiche, e non sarà più possibile procedere al riesame(64).
6. La tutela del contribuente. - La nuova disciplina legislativa non affronta il problema della tutela del contribuente destinatario di un atto di cui contesti la legittimità, e per il quale l'amministrazione finanziaria non eserciti l'autotutela, oppure l'eserciti erroneamente (65).
Al riguardo occorre innanzitutto considerare che il contribuente può far valere in giudizio il proprio diritto soggettivo ad una giusta tassazione entro i termini (60 gg.) di legge, decorrenti dalla notifica dell'atto. Il mancato esercizio del diritto, però, non dovrebbe comportare anche decadenza dalla tutela dell'interesse legittimo al corretto esercizio del potere di autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria (66).
D'altra parte, riconoscere la potestà di autotutela anche quando ormai sono scaduti i termini di impugnazione dell'atto di imposizione, e negare una posizione giuridicamente tutelata al contribuente (67), non sembrerebbe in linea con i principi di cui agli artt. 24 e 113 Cost., né in armonia con il ruolo partecipativo e collaborativo riconosciuto al contribuente nell'ambito del procedimento (68) disciplinato dal regolamento ministeriale per l'esercizio del potere di annullamento, per cui l'amministrazione finanziaria deve ritenersi obbligata, in tali casi, al riesame dei propri atti ed all'adozione del provvedimento di secondo grado più idoneo al perseguimento del fine pubblico al corretto prelievo tributario, proprio a tutela dell'interesse privato leso.
Si può, perciò, concludere che al contribuente si deve riconoscere, oltre alla tutela (entro i termini di legge) del diritto soggettivo alla giusta imposizione, anche la tutela dell'interesse legittimo al corretto esercizio del potere di riesame da parte dell'erario.
Occorre, pertanto, verificare quali siano gli strumenti di tutela del contribuente in relazione alle diverse posizioni giuridiche che egli possa fare valere.
Anticipando le conclusioni cui si giungerà, si osserva che al contribuente viene riconosciuto un ruolo d'impulso e di collaborazione nel procedimento di riesame e perciò una posizione giuridica differenziata, che trova uno spazio di tutela più ampio: oltre i termini per l'impugnativa dell'atto innanzi ai giudici tributari.
Trascorsi i termini di definitività dell'atto, la tutela si estende innanzi agli organi di giurisdizione amministrativa avverso il silenzio degli organi dell'amministrazione finanziaria ovvero nei casi di erroneo esercizio del potere di autotutela per violazione di legge, salva, in ogni caso l'eventuale azione giurisdizionale di fronte al giudice ordinario, per i danni subiti.
6.1. La tutela del contribuente nel caso di mancato esercizio del potere di autotutela: la tutela del diritto soggettivo ad una tassazione adeguata al principio di capacità contributiva. - Qualora il contribuente, titolare del diritto soggettivo a non subire un sacrificio eccessivo rispetto alla reale consistenza del fatto imponibile rivelatore di attitudine contributiva, ritenga più opportuno procedere ad una richiesta di riesame in autotutela (anziché adire gli organi della giurisdizione tributaria), l'amministrazione finanziaria non potrà esimersi dal provvedervi.
Il legislatore, infatti, nel prevedere con l'art. 2 della legge n. 241/1990 il dovere dell'amministrazione di concludere mediante l'adozione di un "provvedimento espresso" tutti i procedimenti, riconosce il cittadino-contribuente titolare di una posizione giuridica differenziata in ordine alla conclusione del procedimento (69).
Si pone, pertanto, il problema della tutela del contribuente qualora l'erario resti silente sulla domanda di riesame finalizzato all'annullamento dell'atto di cui si contesti la legittimità.
La materia del silenzio della pubblica amministrazione in ordine al compimento di atti dovuti, prima della legge n. 241/1990, era ricondotta alla disciplina dell'art. 25 del testo unico degli impiegati civili dello Stato.
Il Consiglio di Stato (70), sulla questione, aveva ritenuto che venuto meno, per effetto del DPR 24 novembre 1971 n. 1199, il regime del silenzio-rifiuto, così come regolato dall'art. 5 del testo unico 3 marzo 1934 n. 383, in difetto di altra norma idonea, l'inerzia della pubblica amministrazione, trovasse disciplina nell'art. 25 testo unico 10 gennaio 1957 n. 3 (che non regolerebbe, perciò, esclusivamente il rapporto d'impiego, ma altresì quello d'ufficio od organico, in vista degli atti ed operazioni imposti all'ente o all'ufficio competente).
Secondo alcuni, tale normativa sarebbe tuttora applicabile, perciò il silenzio dell'amministrazione finanziaria avrebbe valore di rifiuto a provvedere quando, trascorsi 60 giorni dall'istanza del contribuente, ed a seguito di notificazione di un atto di messa in mora, questa abbia persistito per oltre 30 giorni nella sua inerzia.
Con la legge n. 241/1990, il legislatore ha, però, introdotto, una disciplina di formazione del silenzio-rifiuto più snella, basata sul mero decorso del termine di 30 giorni dall'inizio d'ufficio del procedimento ovvero dal ricevimento della domanda dell'interessato.
Non è chiaro se il legislatore abbia inteso attribuire a tale termine valore perentorio od ordinatorio.
L'orientamento prevalente è per la natura perentoria del termine (71), per cui, ai sensi dell'art. 2 della suddetta legge, ove l'amministrazione finanziaria non eserciti l'attività di riesame entro 30 giorni dalla richiesta del contribuente, il comportamento sarebbe ope legis rilevante quale rifiuto a provvedere.
In tal caso, nella pratica del diritto, il problema della tutela del contribuente è di fatto risolto in radice dalla permanenza del diritto di impugnativa del provvedimento di primo grado, innanzi agli organi della giurisdizione tributaria.
Il contribuente potrà, perciò, far valere dinanzi alle Commissioni tributarie il proprio diritto soggettivo ad una giusta imposizione fiscale.
In linea teorica, però, sembrerebbe potersi prospettare la possibilità di adire gli organi della giurisdizione amministrativa (Tar e Consiglio di Stato) impugnando il silenzio-rifiuto dell'ente delle finanze, che potrà essere condannato a provvedere (e perciò a riesaminare il provvedimento) secondo i principi generali espressi dalla legge n. 1034/1971 (72).
Sembra, infatti, doversi escludere che le Commissioni tributarie siano titolari di siffatto potere, in quanto il DPR n. 546/1992, che ha riformato la materia del contenzioso tributario, ha individuato un elenco tassativo di provvedimenti impugnabili (73).
A seguito della decisione di condanna da parte degli organi della giurisdizione tributaria o amministrativa, il contribuente potrà, quindi, agire dinanzi al giudice ordinario, per il risarcimento del danno che gli sia derivato proprio dall'inerzia e dal ritardo.
Siffatta tutela discende dai principi di buona amministrazione espressi dalla legge n. 241/1990 (74) ed in particolare dalla legge n. 59 del 15 marzo 1997 (cd. legge Bassanini), che all'art. 20, comma 5, lett. h) ha posto il criterio direttivo cui dovranno conformarsi i successivi regolamenti ministeriali, per cui "per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione," è previsto l'obbligo di "indennizzo automatico e forfetario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento...".
La previsione della legge n. 59/1997 lascia affiorare il problema della natura di quest'obbligo reintegratorio dello stato patrimoniale del cittadino leso dal ritardo ovvero dall'inadempimento della pubblica amministrazione; conferma comunque l'orientamento interpretativo per cui la pubblica amministrazione è obbligata ad una misura compensativa del danno sofferto.
Di recente, poi, il Ministero delle finanze(75) ha riconosciuto il diritto del contribuente ad essere ristorato di tutti gli oneri sostenuti in relazione ad un pagamento non dovuto, implicitamente affermando che spetta al contribuente il risarcimento integrale di quanto patito e, perciò, non solo il rimborso di quanto corrisposto in eccedenza (76) e le spese di lite - in esecuzione della sentenza delle Commissioni tributarie, - ma anche gli interessi corrisposti ai sensi dell'art. 21 comma 1 del DPR n. 602/1973 e (ove ve ne fossero) la corresponsione di una misura idonea a compensare le sofferenze conseguenti (mancato guadagno ovvero occasioni perdute) di cui si dia la prova innanzi al giudice ordinario (77).
La responsabilità degli enti pubblici per l'operato dei loro funzionari e dipendenti è espressamente prevista dalla Costituzione (art. 28).
Da tempo la giurisprudenza ha poi riconosciuto che la pubblica amministrazione è responsabile per i danni conseguenti al rifiuto illegittimo di atti dovuti, che si traduca nella lesione di un diritto soggettivo del destinatario, con un unico limite: il previo accertamento dell'illegittimità dell'atto in sede giurisdizionale o giustiziale (78).
6.2. (Segue). La tutela dell'interesse legittimo del contribuente all'esercizio del potere di autotutela. - Come si è anticipato (79), il contribuente, ancorché siano trascorsi i termini di impugnazione dell'atto impositivo, rimane pur sempre titolare dell'interesse legittimo al corretto esercizio del potere da parte dell'amministrazione finanziaria.
Negargli la tutela di quell'interesse, varrebbe consentire la violazione del principio costituzionale stabilito dall'art. 24 Cost.
Quindi, qualora l'erario non si pronunci in merito ad un'istanza, con cui il contribuente dia la prova dell'esistenza di fatti per i quali l'atto impositivo deve ritenersi viziato (e per cui vi è l'obbligo di esercitare il potere di autotutela) deve ritenersi possibile il ricorso in sede amministrativa al dirigente generale dell'unità responsabile del procedimento. Così dispone il DM 11 febbraio 1997 n. 97 all'art. 1.
A fronte del protrarsi dell'inerzia poi, il contribuente potrà trovare tutela in sede giurisdizionale ricorrendo al giudice amministrativo.
Questi, per accertare l'esistenza dell'obbligo di provvedere da parte dell'erario (e, quindi, ai fini della verifica della sua inosservanza), dovrà valutare in via incidentale anche la fondatezza della domanda.
Il Consiglio di Stato (80) ha, infatti, ritenuto che, in tali casi, oggetto del giudizio non è il silenzio, ma la fondatezza della pretesa, per cui in presenza di atti vincolati, il giudice amministrativo può andare oltre il mero accertamento dell'illegittimità del silenzio-rifiuto e pronunciarsi ( incidenter tantum) anche sulla domanda avanzata alla pubblica amministrazione.
L'ente impositore, quindi, sarà condannato a riesaminare il provvedimento di primo grado ed a pronunciarsi con atto motivato di conferma o annullamento (totale o parziale).
Si prospetta, però, la questione relativa ai termini di impugnativa del silenzio.
Al riguardo, sembra doversi riconoscere fondatezza all'orientamento della giurisprudenza più recente per cui il privato può adire il giudice amministrativo fino a quando persista l'inadempimento della pubblica amministrazione, in virtù del fatto che in capo a questa continua a sussistere il potere-dovere di pronunciarsi (81).
Dubbia è invece la possibilità di azione di risarcimento dei danni prodotti dall'erario al contribuente che abbia fatto affidamento sulla richiesta di riesame rimasta inascoltata.
La questione relativa alla risarcibilità dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi è lungamente dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza (82).
L'orientamento tradizionale tende a negare il risarcimento del danno conseguente ad un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione poi annullato dal giudice amministrativo(83) . Si ritiene infatti che oggetto della lesione non sia un interesse sostanziale del danneggiato, bensì solo un interesse strumentale al corretto operare dell'amministrazione stessa (84) , per cui il privato troverebbe soddisfazione con il solo ripristino della legalità dell'azione amministrativa, cioè con l'annullamento dell'atto impugnato.
Di recente, però, facendo perno sulla rivisitazione dottrinale della nozione di interesse legittimo, come interesse ad un bene della vita, nonché sulla nuova legislazione nazionale e comunitaria (85) , anche la più recente giurisprudenza è giunta a riconoscere la risarcibilità degli interessi legittimi (86) .
Seguendo l'impostazione della dottrina più recente, per cui l'interesse legittimo è una situazione soggettiva attiva di natura sostanziale, che preesiste alla sua eventuale lesione da parte della pubblica amministrazione e che è protetta in via immediata e diretta dall'ordinamento giuridico, si è osservato che l'annullamento dell'atto illegittimo può non essere sufficiente a tutelare il privato. Si è giunti perciò, a riconoscere il diritto al risarcimento, come diritto soggettivo autonomo rispetto alla situazione soggettiva violata, che sorge col perfezionarsi di una fattispecie complessa di cui la lesione dell'interesse legittimo è solo un elemento costitutivo (assieme all'elemento psichico ed al nesso eziologico).
L'azione diretta ad ottenere il risarcimento dei danni, però, potrebbe essere proposta solo dopo l'annullamento dell'atto amministrativo illegittimo da parte del giudice amministrativo, poiché diversamente il giudice ordinario avrebbe un potere di accertamento dell'esistenza di vizi dell'atto di natura principale (e non incidenter tantum), stravolgendo i criteri di riparto giurisdizionale.
Seguendo le conclusioni a cui è pervenuta la più recente dottrina, ed in considerazione del fatto che il legislatore con la legge n. 59/1997 (cd. Bassanini) sembra essersi posto in posizione garantista dell'aspettativa del cittadino a che il procedimento amministrativo si chiuda alla scadenza del termine di legge(87) , sembra, dunque, potersi prospettare, anche in ambito tributario, una tutela dell'interesse legittimo del contribuente, che dimostri di avere subito un danno dal mancato esercizio del potere di autotutela.
6.3. La tutela del contribuente nel caso di erroneo esercizio del potere di autotutela. - La pubblica amministrazione, anche quando agisce nell'esercizio dei suoi poteri tecnico-discrezionali, è tenuta ad osservare non solo le norme di legge ed i regolamenti, ma anche i criteri di diligenza e prudenza imposti dal precetto del neminem ledere.
In ambito tributario, si è osservato che allorché l'amministrazione finanziaria - violando la legge - leda un diritto soggettivo del contribuente, non possa negarsi il diritto al risarcimento dei danni provocati dalla condotta colposa, ma solo dopo la decisione di annullamento dell'atto illegittimo da parte della Commissione tributaria (88) .
Con riferimento al momento di esercizio del potere di autotutela (89) , dunque, la questione relativa alla risarcibilità dei danni derivanti dall'errore dell'ente impositore è strettamente connessa al problema della possibilità di impugnativa del provvedimento adottato in sede di riesame.
Al riguardo, occorre differenziare il caso in cui l'amministrazione finanziaria modifichi il contenuto sostanziale del proprio atto, adottando un nuovo provvedimento che non incida su quello precedente, dal caso in cui conservi il proprio atto, confermandone l'efficacia.
Nel primo caso, poiché l'ente impositore esercita ex novo i propri poteri, andando a rinnovare il precedente con un nuovo provvedimento che rientra nell'elenco tassativo di cui all'art. 19 del DPR n. 546/1992, sembra prospettarsi la possibilità di adire gli organi della giustizia tributaria con l'impugnativa del nuovo atto impositivo.
A seguito di una pronuncia di annullamento delle Commissioni tributarie, poi, il contribuente potrà adire il giudice ordinario per una pronuncia reintegrativa dei danni patiti.
Il problema della risarcibilità dei danni derivanti dall'errore dell'ente impositore, però, pone l'ulteriore questione relativa all'imputazione psicologica del fatto al suo autore a tenore dell'art. 2043 c.c.
Il giudice di merito, infatti, se in linea teorica non trova ostacoli ad un'indagine tecnica incidenter tantum volta alla verifica dell'illegittimo esercizio del potere di autotutela per violazione di legge, in concreto deve operare il difficile accertamento dell'elemento psicologico, della colpa del funzionario.
L' impasse è stata superata da quella parte della dottrina e della giurisprudenza che, con riferimento all'esercizio di poteri obbligatori e vincolati, ha ritenuto la colpa "in re ipsa", poiché la responsabilità dell'amministrazione sarebbe di per sé ravvisabile nella violazione di legge (90) .
Nel caso in cui l'amministrazione finanziaria non modifichi il contenuto del proprio atto e attraverso un nuovo documento formale ne conservi la sostanza e ne confermi l'efficacia, deve ritenersi che unico strumento di tutela del contribuente sia l'azione dinanzi al giudice amministrativo.
Un sia pur limitato sindacato del giudice amministrativo, circa l'osservanza dei limiti imposti alla pubblica amministrazione nell'esercizio dell'attività tecnica, è consentito, infatti, dagli strumenti dell'eccesso di potere (per carenza di motivazione) e della violazione di legge.
Il giudice amministrativo dovrà valutare, pertanto, se l'amministrazione finanziaria sia incorsa in un vizio di legittimità concretatesi nella deviazione del proprio giudizio rispetto ai binari della coerenza logica, ovvero nel vizio di violazione di legge.
Dovrà, perciò, verificare che l'autorità amministrativa, nello svolgimento delle valutazioni ed operazioni tecniche, si sia attenuta ai vincoli legali ottemperando all'obbligo di motivazione e se, pertanto, non fosse illegittimo il rifiuto al ritiro ovvero alla convalescenza del provvedimento di primo grado.
La questione, poi, della possibilità di esperire l'azione dinanzi al giudice ordinario per il risarcimento dei danni prodotti dall'erario al contribuente che abbia fatto affidamento sull'attività di riesame da questa erroneamente esercitata, si pone nei medesimi termini di quella già esaminata sulla risarcibilità degli interessi legittimi.
7. Conclusioni. - Un'analisi delle disposizioni normative in materia di autotutela tributaria, che tenga conto dei fondamenti costituzionali di buona amministrazione finalizzata alla giusta imposizione fiscale e dei criteri programmatici espressi dalla legge n. 241/1990 e dalle norme che caratterizzano l'azione dell'ente impositore, conduce in primo luogo a negare il principio generale per cui si tratterebbe di un'attività discrezionale.
Il potere di autotutela è, infatti, un dovere dell'amministrazione finanziaria, che qualora si prospetti l'esigenza di tutelare l'interesse pubblico concreto ed attuale alla corretta tassazione (ed in particolare perciò, a seguito di istanza del contribuente che lamenti l'illegittimità del provvedimento impositivo) ha un preciso obbligo di procedere al riesame dei propri atti ed all'adozione di un provvedimento motivato di conferma, sanatoria o annullamento.
Quando il legislatore enuncia che l'amministrazione finanziaria "può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento" (91) non può volersi riferire al momento dell'avvio del procedimento, bensì alla fase istruttoria del riesame, che può culminare con un provvedimento di ritiro, convalidazione o conservazione in ragione dell'interesse pubblico ad una tassazione conforme alla capacità economica del cittadino.
In considerazione della stretta connessione che lega il potere di autotutela al potere di amministrazione attiva entrambi i poteri partecipano, infatti, della medesima natura.
Pertanto, il potere di autotutela dell'ente impositore si prospetterebbe più propriamente quale esercizio di un'attività di controllo, vincolata alla legge; l'interesse al prelievo dei tributi in ragione dell'effettiva ricchezza prodotta dal contribuente, nel rispetto delle regole tecnico-procedimentali imposte dal legislatore costituisce il vincolo legale per l'esercizio non solo dell'attività impositiva, ma altresì dell'attività di riesame.
Il potere di autotutela tributaria si esplica, dunque, sulla base delle medesime norme vincolanti che regolano l'attività accertativa, quindi è esclusa ogni discrezionalità dell'amministrazione finanziaria o, al più, è limitata alla verifica tecnica dell'esistenza di vizi dell'atto, nonché della conformità della fattispecie concreta alla previsione astratta della norma di legge.
Una volta riconosciuto che un atto sia illegittimo o infondato, pertanto, l'amministrazione finanziaria deve ritenersi obbligata al ritiro dell'atto precedentemente adottato (ovvero alla convalidazione) e non potrà discrezionalmente decidere per la sua conferma.
Si tratta, dunque, di un potere a favore del contribuente, che può essere esercitato fino al sopravvenuto giudicato delle Commissioni tributarie, salvo il limite della permanenza del potere di amministrazione attiva.
Il contribuente è perciò sempre più tutelato: gli viene riconosciuto un ruolo d'impulso e di collaborazione nel procedimento di riesame e perciò una posizione giuridica differenziata, che trova uno spazio di tutela più ampio; oltre i termini per l'impugnativa dell'atto innanzi ai giudici tributari, gli è consentito adire gli organi di giurisdizione amministrativa avverso il silenzio del funzionario delle finanze che ometta di pronunciarsi con un provvedimento espresso sulla domanda di riesame; qualora, poi, il potere di autotutela venga esercitato erroneamente, gli si riconosce la possibilità di adire il giudice amministrativo perché annulli il provvedimento illegittimo per violazione di legge e condanni l'amministrazione finanziaria ad un nuovo esame del provvedimento di primo grado.
Resta in ogni caso salva l'eventuale azione giurisdizionale di fronte al giudice ordinario, nel caso in cui egli dimostri di aver subito un danno dal mancato (o erroneo) esercizio del potere di autotutela e chieda pertanto il relativo risarcimento.


Ritorna al link (1) Da ultimo vedi: Cass., SS.UU., 4 ottobre 1996, sent. n. 8685, in Boll. trib., 1997, n. 7, 558 ss. e Cass., sez. I, 11 novembre 1998, sent. n. 11364, in Boll. trib., 1999, n. 9, 749 ss.

Ritorna al link (2) Nello stesso senso, vedi: Benvenuti, voceAutotutela - dir. amm., in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 544 ss. "L'autotutela è sempre in funzione dell'interesse dell'amministrazione e a questa spetta di valutare, caso per caso, e quindi con valutazione ampiamente discrezionale, la prevalenza dell'interesse particolare soddisfatto dall'atto invalido, quella dell'interesse particolare che sarebbe soddisfatto dall'atto di autotutela o quella dell'interesse generale alla rimozione del conflitto potenziale".

Ritorna al link (3) Per un approfondimento in dottrina, si veda: Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo, Parte generale, V ed., Padova, 1987, 145 ss. nonché Galli, Corso di diritto amministrativo,Padova, 1995, 721; Virga, Diritto amministrativo - atti e ricorsi, II, Milano, 133 ss.; Cannada Bartoli, Annullabilità ed annullamento, in Enc. dir., II, Milano, 487 ss.; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano, 1988, 1008 ss.; Verde, Rimozione degli atti amministrativi ed effettività della tutela, in Riv. dir. proc., 1984, 42; Gherghi, I limiti dell'annullamento d'ufficio: necessità di un correttivo, in Nuova rass., 1993, II, 437 ss., Juso, Retroattività dell'annullamento ed effettività della tutela, in Riv. amm., R.I., 1992, II, 1591 ss.; Pioggia, Alcune osservazioni in merito all'esercizio del potere di annullamento d'ufficio (nota a sent. Tar Umbria 11 maggio 1994 n. 138),in Rass. Giur. umbra, 1995, III, 217 ss., Annunziata, Autotutela della pubblica amministrazione e suoi limiti (nota a sent. Cons. St., sez. V, 22 novembre 1993 n. 1164), in Giust. civ., 1995, I, 307 ss.; Ancora, Alcune puntualizzazioni sulla autotutela della pubblica amministrazione, in Giur. mer., 1992, 1016 ss.
Quanto alla giurisprudenza, si veda Tar Lombardia, sez. Brescia, 2 ottobre 1991 n. 678, in Tar, 1991, I, 503; Tar Lazio, sez. III, 14 febbraio 1983, n. 121, in Tar, 1983, I, 824; Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 784, in Foro amm., 1995, 2158; Cons. St., sez. I , 23 ottobre 1981, n. 384, in Cons. Stato, 1983, I, 452; Cass., SS.UU. civ., 18 ottobre 1984, n. 5247, in Giust. civ., 1985, I, 367; Cons. St., 29 ottobre 1976, n. 1320 in Cons. Stato, 1976, I, 1058; Cass., sez. lav., 21 febbraio 1978, n. 855, in Prev. soc., 1978, 1135; Cons. St., sez. VI, 28 agosto 1995, n. 823, in Foro amm., 1995, 1602.

Ritorna al link (4) Si veda, infatti, il titolo IV del DPR n. 600/1973, che è rubricato "accertamenti e controlli" e agli artt. 31 ss. individua in dettaglio i limiti legali all'esercizio del potere dell'amministrazione finanziaria.

Ritorna al link (5) Vedi la Direttiva 6 giugno 1994 n. 450, della Dir. Reg. Entrate per il Lazio, in Fisco, 1994, n. 25, 6185 ss.

Ritorna al link (6) Vedi la Direttiva 29 marzo 1994 n. 10932, della Dir. Reg. delle Entrate per l'Emilia Romagna, in Boll. trib., 1994, n. 11, 850 ss.; e nello stesso senso la Circ. Dir. Entrate per la Provincia autonoma di Trento - servizio I - Divisione I, n. 9282 del 12 marzo 1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate - Ufficio del Direttore Generale, n. 195/E/4762/UDC dell'8 luglio 1997, in Fisco, 1997, n. 30, 8578 ss., nonché in Boll. trib., 1997, n. 17, 1295 ss.

Ritorna al link (7) Vedi DM 11 febbraio 1997 n. 37, in G.U. n. 53 del 5 marzo 1997, in Boll. trib., n. 5, 1997, 386 ss. Per un'analisi delle disposizioni normative in esso contenute vedi oltre § 4.4. (Segue) La disciplina normativa: il regolamento per l'esercizio del potere di autotutela, 16.
Nel medesimo senso si veda, inoltre, la Circ. 5 agosto 1998 n. 198/S/2822/98/GCF/as, in Fisco, 1998, n. 31, 10381 ss.

Ritorna al link (8) Con la legge 7 agosto 1990 n. 241 il legislatore ha affermato i principi di trasparenza, efficienza, ed economicità dell'azione amministrativa e, soprattutto, il principio del contraddittorio con i destinatari diretti dei provvedimenti amministrativi. (Vedi artt. 1, comma 1, 7 e 22, comma 1, della legge n. 241/1990). Ha, quindi, prospettato l'esigenza di tutela dell'affidamento del privato anche nell'ambito del diritto pubblico, riconoscendo il bisogno di assicurare che le aspettative del privato siano curate in relazione ai fini pubblici da perseguire, e che le scelte discrezionali della pubblica amministrazione, siano valutate ponderando l'interesse pubblico, in cui trova spazio la fiducia del beneficiario, con l'interesse privato all'annullamento dell'atto. Momento di emersione dei suddetti principi programmatici, è, altres, quello in cui si esercita il potere di autotutela della pubblica amministrazione, nella fase del riesame comparativo dell'interesse pubblico con l'interesse del destinatario dell'atto che possa avere riposto un fondato affidamento sull'atto precedentemente adottato. Poiché il potere di autotutela della pubblica amministrazione è discrezionale, la scoperta dell'illegittimità dell'atto (di norma) non obbliga alla sua eliminazione, quanto piuttosto solamente ad un'ulteriore verifica, ad un riesame ponderato dell'interesse pubblico e privato ad esso sottesi. Il ruolo partecipativo e collaborativo del privato nell'ambito del procedimento non gli attribuisce, quindi, una posizione giuridica differenziata e qualificata, ma costituisce solo un limite all'esercizio del potere della pubblica amministrazione, che - nell'ambito delle proprie valutazioni - dovrà avere riguardo non più solamente al perseguimento del fine pubblico, ma altres all'affidamento del destinatario dell'atto. Si constaterà di seguito che tali principi, ancorché pacifichi ove siano riferiti genericamente all'azione amministrativa, trovano una deroga nell'ambito dello speciale rapporto tra contribuente e fisco. (vedi oltre § 5.1., Il potere di autotutela dell'amministraizone finanziaria come autotutela migliorativa per il contribuente, 21, nonché § 6. La tutela del contribuente, 24). In materia tributaria, infatti, ancorché il legislatore all'art. 13 della legge n. 241/1990 abbia escluso il diritto di partecipazione al procedimento amministrativo, non è mancato chi ha sostenuto che il contribuente deve essere tutelato qualora abbia fatto affidamento sul corretto esercizio dei poteri dell'amministrazione finanziaria riconoscendogli la titolarità di un interesse legittimo che può essere fatto valere dinanzi al giudice amministrativo, non solo in presenza di evidente illegittimità dell'azione e dunque per violazione di legge, ma anche quando si verifichino situazioni di eccesso di potere (ciò in considerazione del fatto che l'ente impositore avrebbe comunque limitati spazi di discrezionalità). Al riguardo, vedi Maria Teresa Moscatelli, Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, in Rass. trib., 1997, n. 5, 1107 ss.
Per un'analisi più dettagliata sugli strumenti di tutela del contribuente e sulla posizione soggettiva che gli compete, vedi oltre, § 4.2., La posizione giuridica del contribuente, 13 nonché § 6. La tutela del contribuente, 24.
Per un approfondimento sull'influenza della legge n. 241/1990 nel procedimento tributario, vedi § 4.1. La legge n. 241/1990, 12.

Ritorna al link (9) In questo senso vedi G. Melis, Interpretazione autentica, retroattività e affidamento del contribuente: brevi riflessioni su talune recenti pronunzie della Corte costituzionale - Principio di capacità contributiva e tutela dell'affidamento, in Rass. trib., 1997, n. 4, 864 ss.

Ritorna al link (10) Sull'autotutela della pubblica amministrazione vedi Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 721 ss.

Ritorna al link (11) Va precisato che diversa è l'impostazione di parte della dottrina, di stampo negoziale, per cui, non distinguendo tra autarchia ed autotutela, quest'ultima andrebbe riconnessa ad una categoria generale di atti cd. di ritiro, adottati in base ad un riesame effettuato nell'esercizio "di un potere di amministrazione attiva e precisamente di quello stesso potere che è stato esercitato nell'emanare l'atto da ritirare". (Cfr. Virga, Diritto amministrativo, Atti e Ricorsi, Milano, 1995, 134 ss.).
Tale impostazione non considera che il potere di riesame degli atti e l'eventuale, loro riforma, annullamento o rettifica, non è volto alla tutela di quello stesso interesse pubblico alla cui cura è precipuamente finalizzato il potere di amministrazione attiva, bens è posto in funzione dell'interesse generale che l'amministrazione ha in ordine ad un corretto ed ordinato svolgimento delle proprie attribuzioni.
Le due diverse impostazioni teoriche non sono prive di riflessi nella pratica del diritto. Ove si accolga favorevolmente la ricostruzione di stampo negoziale, per cui la funzione di riesame sarebbe espressione di quello stesso potere esercitato nell'adozione dell'atto da ritirare, dovrebbe, infatti, ritenersi non più esercitabile l'autotutela al decadere dal potere di amministrazione attiva.
Differenziare, invece, i due diversi poteri di autotutela e di autarchia, conduce a riconoscere legittimo l'esercizio del potere di riesame ancorché vi sia carenza del potere di amministrazione attiva (per esempio per decadenza dal termine entro cui poteva essere esercitato legittimamente il potere, ovvero per devoluzioneex lege della competenza ad altro organo amministrativo, ovvero per la totale abrogazione ex lege delle attribuzioni in una determinata materia all'ente che aveva adottato l'atto di primo grado). Cfr. Al riguardo il parere del Consiglio di Stato, secondo cui: "il potere di autotutela permane negli organi istituzionalmente preposti ad un certo settore amministrativo, anche se il ius superveniens abbia posto il divieto di emanare nuovi atti di un certo tipo, mantenendo fermi gli effetti di quelli già emanati ed i conseguenti rapporti". (Cons. St., Ad. Plenaria, sentenza n. 5 del 9 marzo 1984, in Giur. it., 1984, III, 1, 273).

Ritorna al link (12) La pubblica amministrazione, anche ove riscontri un vizio di legittimità in un proprio provvedimento (che possa ledere la sfera soggettiva del destinatario) potrà sempre decidere di confermare l'atto, qualora l'interesse pubblico prevalente deponga in tal senso.

Ritorna al link (13) Gli atti di ritiro incidono negativamente sul provvedimento precedentemente adottato, ab origine illegittimo o inopportuno, o divenuto tale successivamente, avvalendosi di strumenti quali l'annullamento, la revoca, l'abrogazione, la declaratoria di decadenza ed il mero ritiro.
Gli atti di convalidazione non incidono negativamente sul provvedimento di primo grado, ma si limitano ad eliminare i vizi che lo inficiano con una nuova manifestazione di volontà, avvalendosi di strumenti quali la convalida, la ratifica, la sanatoria.
Gli atti di conservazione tendono al mantenimento dell'atto, nonostante la sua invalidità o facendo venire meno uno dei suoi presupposti o una delle condizioni del ricorso (consolidazione, acquiescenza, conferma) o conservandone parzialmente gli effetti, qualora siano presenti gli elementi ed i requisiti di un altro tipo di atto (conversione).
Sull'argomento vedi Virga, Diritto amministrativo, II, Milano, 1995, 133 ss.
In giurisprudenza si veda: Cons. giust. amm. Sicilia, 20 maggio 1987, n. 126, in Riv. amm. RI, 1987, 913 ss. per cui "L'amministrazione esercita la potestà di autotutela tanto nel caso in cui provveda in senso positivo annullando l'atto ritenuto viziato, quanto nel caso in cui provveda in senso negativo, affermando che non sono ravvisabili i presupposti per far luogo all'annullamento d'ufficio".

Ritorna al link (14) In questo senso vedi, G. Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, Padova, II ed., 70-71.


Ritorna al link (15) Vedi artt. 31 ss. del DPR n. 600/1973.


Ritorna al link (16) Sull'autotutela della pubblica amministrazione, cfr.: Aiudi, Autotutela. Sulla rinnovazione dell'avviso di accertamento,in Boll. trib., 1988, 1676 ss.; Albertini, Considerazioni sulla potestà di autotutela dell'amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1989, 683 ss.; V. Azzoni, L'autotutela come diritto del contribuente, in Boll. trib., 2000, 171 ss.; Barbone, Quando l'ufficio annulla e rimpiazza un atto viziato: in che limiti l'autotutela opera a favore dell'amministrazione?, in Rass. trib., 1994, n. 9, 1446 ss.; Batti, L'esercizio del potere di autotutela da parte dell'amministrazione finanziaria tra diritto amministrativo e diritto costituzionale, in Fisco, 1994, n. 40, 9634 ss.; Calippo, Gli istituti deflattivi del contenzioso tributario, in Fisco, 1997, n. 22, 6093 ss.; Capolupo, La semplificazione dei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente, in Fisco, 1997, n. 16, 4362 ss.; D'Alfonso, Tutela dell'amministrazione e tutela del contribuente, in Fisco, n. 47, 1996, 11334 ss.; Di Paolo, Esercizio della potestà di autotutela quale strumento di realizzazione dell'interesse pubblico e di riduzione del contenzioso, in Fisco, 1997, n. 9, 2403 ss.; Ficari, Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria nei recenti chiarimenti ministeriali, in questa Rivista, 1994, III, 398 ss.; Ficari, Istanza di annullamento d'ufficio e "doveri" dell'amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1998, n. 3, 247 ss.; Gallo, Difesa e autotutela dell'amministrazione finanziaria nel nuovo processo tributario, in Fisco, 1997, n. 11, 2969 ss.; Loche, Autotutela dell'amministrazione finanziaria e tutela del contribuente, in Fisco, 1994, n. 33, 7858 ss.; Lupi, La nuova normativa sull'annullamento d'ufficio degli atti impositivi illegittimi; spunti per una discussione, in Boll. trib., 1992, n. 23, 1801 ss.; Lupi, Atti definitivi e decadenze: se l'autotutela non arriva, cosa può fare il contribuente?,in Rass. trib., 1994, n. 5, 750 ss.; Maffezzoni, Autocorrezione dell'accertamento impugnato per vizi formali, in Boll. trib., 1989, 1003 ss.; Manlio Tarquini, Niente autotutela, ricorso al Tar - in Fisco, 1997, n. 33, 9659 ss.; Menotti Gatto, DL n. 538/1994, Gli strumenti stragiudiziali della manovra - Il concordato e l'autotutela -in Fisco, 1994, n. 39, 9388 ss.; Messina, L'annullamento d'ufficio degli atti impositivi illegittimi, alla luce dell'art. 68 del DPR n. 287/1992,in Fisco, 1993, n. 44, 10998 ss.; Mifsud, Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria - le novità introdotte dal disegno di legge "Marongiu" a proposito della sospensione cautelare del provvedimento impugnato, in Fisco, 1997, n. 40, 11654 e ss.; Moroni e Morina, Chiarezza, autotutela e interpello formano la "preventiva intesa", in Fisco, 1997, n. 14, 3944 ss.; Muscarà, Poteri di autotutela dell'amministrazione finanziaria in ipotesi di difetto di motivazione del provvedimento impositivo,in Rass. trib., 1990, I, 381 ss.; Palladino e Sassani, L'annullamento d'ufficio degli atti dell'amministrazione finanziaria, in Fisco, 1995, 3, 438 ss.; Perrucci, Autotutela e autoannullamento di atti impositivi, in Boll. trib., 1994, n. 18, 1319-1320; Perrucci, L'autotutela tributaria e il suo diniego di fronte alla verifica giurisdizionale, in Fisco, n. 14, 2000, 4471 ss.; Plaja, Autotutela tra fisco e contribuente, in Fisco, n. 18, 1994, 4521 ss.; Rinaldi e Tagliaferro, La Direttiva per la semplificazione dei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuenti, in Fisco, 1997, n. 17, 4639 ss.; Serafini, Il regolamento sull'autotutelA,in Fisco, 1997, n. 5, 1263 ss.; Stevanato, L'autotutela dell'amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1996, n. 12, 945 ss.; Stevanato, L'autotutela dell'amministrazione finanziaria, - L'annullamento d'ufficio a favore del contribuente, Padova; Tarquini, Contenzioso tributario - Niente autotutela, ricorso al Tar, in Fisco, 1997, 33, 9659 ss.; Tenacità, L'Autotutela dell'amministrazione finanziaria, in Fisco, 1994, n. 43, 10288 ss.;Trovato, Il potere di autoimpugnativa dell'amministrazione finanziaria e il giudicato, in Fisco, 1994, n. 28, 6650 ss.

Ritorna al link (17) Tra quanti negavano il potere di autotutela all'amministrazione finanziaria Cfr. Comm. trib. II grado di Parma, sez., I, 3 novembre 1984, n. 252, in Boll. trib., 919 ss.; Comm. centrale, sez. III, 5 dicembre 1988, n.8088, in Boll. trib., 1989, n. 6, 470 ss.

Ritorna al link (18) Quanto alle posizioni della giurisprudenza vedi: Comm. centr., XIX, 5 settembre 1985, n. 7475, in Boll. trib., 1985, 1764 ss.; Comm. centr., sez., IV, 6 febbraio 1986 n. 1159, in Boll. trib., n. 21, 1681; Comm. centr., VII, 13 maggio 1988, n. 4183, in Boll. trib., 1989, n. 1, 70 ss.; Cass. 17 marzo 1989, in Boll. trib, n. 19, 1495 ss.; nonché Cass., 20 gennaio 1991, n. 3003, in Boll. trib., 1991, n. 11, 886 ss.
Per la dottrina vedi: Aiudi, Autotutela: Sulla rinnovazione dell'avviso di accertamento, in Boll. trib., 1988, n. 22, 1676 ss.

Ritorna al link (19) Cfr. Comm. centr., XIX, 5 settembre 1985, n. 7475, in Boll. trib., 1985, 1764 ss., nonché Comm. centr., VIII, 13 maggio 1988, n. 4183, in Boll. trib., 1989, n. 1, 70-71.

Ritorna al link (20) Sul punto vedi. Comm. centr., sez. I, 15 giugno 1987 n. 4804, in Boll. trib., 1988, 395 ss. e Comm. trib. II grado di Parma, sez. II, 12 gennaio 1985 n. 340, in Boll. trib., 1985, 1001 ss.

Ritorna al link (21) Con Circ. min. n. 7/1496 del 30 aprile 1977, della Dir. gen. Imposte, e con Circ. min. n. 29/410811 del 23 maggio 1978 della Dir. gen. Tasse, è stato precisato, infatti, che l'ufficio, nel notificare il nuovo avviso di accertamento, ha l'obbligo di specificare i fatti nuovi che giustifichino una maggiore pretesa d'imposta e il modo in cui ne è venuto a conoscenza, curando di porre in rilievo che tali fatti erano sconosciuti all'ufficio alla data del primo accertamento e che non era possibile rilevarli né sulla base degli elementi contenuti nella dichiarazione né dagli atti in possesso dell'ufficio.
Vedi Codice della riforma tributaria, ediz. Ipsoa, 1992, I, art. 43 DPR n. 600/1973, 1181 s.

Ritorna al link (22) Tale posizione interpretativa è stata però di recente negata dalla Cass., SS.UU., 1996 n. 8685, in Boll. trib., n. 7, 558 ss., per cui vedi § 1. L'autotutela tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali, 1.

Ritorna al link (23) Vedi: Comm. centr., sez. VII, 22 aprile 1988 n. 3639, Ufficio II.DD. Benevento c. Iannali, in Comm. trib. centr., 1988, I, 399, per cui - in applicazione del generale principio di conformità alla legge dell'atto amministrativo - è preciso obbligo dell'ufficio finanziario, nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela, di eliminare errori propri o del contribuente, quando esso stesso li rilevi o quando tali errori siano portati a sua conoscenza. E Comm. centr., sez. IV, 6 febbraio 1986 n.1159, Ufficio II.DD. Martina Franca c. Nigri, in Comm. trib. centr. 1986, I, 158, pure in Boll. trib., 1986, n. 21, 1681.

Ritorna al link (24) Sulla natura della dichiarazione dei redditi quale dichiarazione di scienza, integrabile e correggibile da parte del contribuente, in caso di omissioni od errori e sui termini entro cui è possibile procedere alla correzione, vedi: Cass., sez. I civ., 27 marzo 1998 n. 10412 in Rass. trib. n. 2, 1999, 522 ss., con nota di P. Coppola, Cass., sez. I civ., 12 agosto 1993, n. 8642, in Riv. legisl. fisc., 1994, 1379; Cass., sez. I civ., 13 agosto 1992 n. 9554, in questa Rivista, 1993, II, 115; Cass., 27 aprile 1988 n. 3174, in Rass. Avv. Stato, 1988, I, 421; Cass., 8 settembre 1986 n. 5476, in Boll. trib., 1986, 1679 ss.; Cass., sez. I civ., 23 gennaio 1985 n. 271, in Boll. trib., 1985, 758 ss.; Cass., sez. I civ., 6 marzo 1980 n. 1500, in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 3; Cass., SS.UU., 27 settembre 1965 n. 2048, in Foro it., 1965, I, 1830 ss.; Comm. centr., sez. I, 8 luglio 1991 n. 5273, in Comm. trib. centr., 1991, I, 613; Comm. centr., sez. IX, 1 febbraio 1991 n. 806, in Comm. trib. centr., 1991, I, 143; Comm. centr., sez. XXII, 3 novembre 1988, n. 7284, in Giur. imp., 1989, 14; Comm. centr., sez. VII, 3 agosto 1988 n. 5832, in Giur imp., 1988, 701; Comm. centr., sez. VIII, 17 settembre 1987 n. 5758 in Comm. trib. centr., 1987, I, 364; Comm. centr., sez. III 4 giugno 1987 n. 4487, in Comm. trib. centr., 1987, I, 281; Comm. centr., sez. VIII, 18 maggio 1987 n. 3971, in Comm. trib. centr., 1987, I, 249; Comm. centr., sez. IV, 6 febbraio 1986 n. 1159, in Comm. trib. centr., 1986, I, 158 e pure in Boll. trib., 1986, n. 21, 1681.
In dottrina vedi: Paola Coppola, Sulla rettificabilità della dichiarazione per questioni di diritto, in Rass. trib., n. 2, 1999, 522 ss.; Cocivera, Accertamento tributario, voce in Enc. dir., I, Milano, 1958; Nuzzo, Natura ed efficacia della dichiarazione tributaria, in Dir prat. trib., 1986, I, 34 ss.; Fregni, Istanza di rimborso correttiva di dichiarazione dei redditi e dichiarazione integrativa ex art. 9 comma 8 DPR n. 600/1973: un connubio problematico, in Boll. trib., 1996, 1136 ss.

Ritorna al link (25) Cfr. Comm. centr., sez. X, 11 maggio 1994, n. 1528, in Boll. trib., 1995, n. 11, 861.


Ritorna al link (26) Cass., sez. I, 29 marzo 1990, n. 2576, in Boll. trib., 1990, n. 17, 1274 ss.


Ritorna al link (27) Nello stesso senso, vedi Cass., sez. I, 30 agosto 1993, n. 9196, in Boll. trib., 1994, n. 13, 1040 ss.; Cass., sez. I civ., 20 marzo 1991, n. 3003, in Boll. trib., 1991, n. 11, 886 ss.; Cass., sez. I civ., 21 agosto 1993, n. 8854, in Dir. prat. trib., 1995, II, 521 nonché in Boll. trib., 1994, n. 12, 967 ss.

Ritorna al link (28) In tal senso si è espressa da ultimo la Cass., SS.UU., 4 ottobre 1996 n.8685, in Boll. trib., 1997, n. 7, 558 ss. Per una critica alla posizione dei giudici di legittimità, vedi retro § 1. L'autotela tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali, 1.

Ritorna al link (29) In G.U. n. 116 del 20 maggio 1992.


Ritorna al link (30) Vedi in Fisco, 1994, n. 45, 10798.


Ritorna al link (31) Vedi l'art. 1 della legge n. 241/1990.


Ritorna al link (32) Per un approfondimento vedi retro nota 8.


Ritorna al link (33) Al riguardo vedi V. Cerulli Irelli, Corso di diritto amministrativo, parte III, sez. I, 1991, ed G. Giappichelli - Torino, 42 ss.


Ritorna al link (34) Vedi oltre § 5. La natura del potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria, 17.


Ritorna al link (35) Per un approfondimento vedi Ficari, Istanza di annullamento d'ufficio e "doveri" dell'amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1998, n. 3, 247 ss.


Ritorna al link (36) Per un approfondimento sugli strumenti di tutela del contribuente vedi oltre § 6., La tutela del contribuente, 24 ss.


Ritorna al link (37) Per un approfondimento sulla posizione giuridica del contribuente ed una singolare ricostruzione interpretativa, cfr. Maria Teresa Moscatelli, Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, in Rass. trib., 1997, n. 5, 1107 ss., nonché E. De Mita, Capacità contributiva, in Rass. trib., 1987, I, 45 ss.; P. Braccioni, Capacità contributiva e principi fondamentali dell'ordinamento comunitario, in Dir. prat. trib., 1989, I, 1137 ss.;M. Angiello, La capacità contributiva, in Rass. Imp. dir., 1980, 442; Potito, Soggetto passivo d'imposta, in Enc. dir., Milano, 1990, XLII, 1226 ss.; G.F. Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, Padova, II ed., 70-71.


Ritorna al link (38) Sull'interesse legittimo vedi: Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1979, 115 ss., nonchéAllorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1962, 568 ss.


Ritorna al link (39) Sul punto vedi oltre § 6. La tutela del contribuente, 24 ss.


Ritorna al link (40) Si veda in G.U. n. 116 del 20 maggio 1992.


Ritorna al link (41) Vedi in Fisco, 1994, n. 45, 10798.


Ritorna al link (42) E in questo senso si era già posto il legislatore che, sia pure ai soli fini delle imposte di registro, di successione, sull'incremento di valore degli immobili e ipotecarie, aveva riconosciuto all'amministrazione un potere di riduzione del valore accertato dopo che siano trascorsi i termini di impugnazione dell'atto, allorquando risulti manchevole e erroneo l'accertamento eseguito. Vedi infatti l'art. 34 del RD 30 dicembre 1923, n. 3269, la Circ. 23 gennaio 1976, n. 4; la Ris. 25 maggio 1988, n. 300755, cos come citate nella Direttiva 29 marzo 1994 n. 10932 della Dir. Reg. delle Entrate per l'Emilia Romagna, in Boll. trib., 1994, n. 11, 850 ss.


Ritorna al link (43) Cfr. in tal senso, la Ris. min. 14 giugno 1995 n. 194/E, della Dir. centrale Affari Giur. e contenzioso trib., serv. II, div. IV, in Boll. trib., 1995, n. 18, 1326-1327.


Ritorna al link (44) Il regolamento è stato approvato dal Consiglio di Stato nell'adunanza generale del 28 novembre 1996 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 1997 n. 53. Vedi in Boll trib., n. 5, 1997, 386.

Ritorna al link (45) L'art. 2 dispone che l'amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento d'ufficio, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto, quali, tra l'altro:
a) Errore di persona.
b) Evidente errore logico o di calcolo.
c) Errore sul presupposto d'imposta.
d) Doppia imposizione.
e) Mancata considerazione di pagamenti d'imposta, regolarmente eseguiti.
f) Mancanza di documentazione, successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza.
g) Sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati.
h) Errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall'amministrazione.
Al comma 2, si precisa che non si procede all'annullamento d'ufficio per i motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all'amministrazione finanziaria.

Ritorna al link (46) Cos dispone l'art. 3 del regolamento citato.


Ritorna al link (47) Vedi art. 6 del regolamento citato.


Ritorna al link (48) Nel medesimo senso si è posta la stessa amministrazione finanziaria, da ultimo con la Circ. 5 agosto 1998 n. 198/S/2822/98/GCF/as, in Fisco, 1998, n. 31, 10381 ss.

Ritorna al link (49) Vedi, al riguardo, gli artt. 23 e 5 del predetto regolamento; e pure la Direttiva della Dir. Reg. delle Entrate per l'Emilia Romagna, 29 marzo 1994 n. 10932 per cui l'illegittimità o l'infondatezza dell'atto impositivo può essere segnalata dal contribuente, oppure rilevata autonomamente dall'ufficio (in Boll. trib., n. 11, 850 ss.).

Ritorna al link (50) Vedi artt. 33 e 44 del DPR n. 600/1973.


Ritorna al link (51) Così, vedi Circ. 11 dicembre 1995, n. 445/1995 della Dir. Reg. delle Entrate della Lombardia, in Boll. trib., 1995, n. 24, 1799 ss.


Ritorna al link (52) Ed in questo senso la Direzione regionale delle entrate per la Lombardia - div. V, serv. III, con la Circ. n. 3/22993/Dir/99 del 16 novembre 1999 ha precisato che "...per motivi di opportunità e trasparenza, nonché di necessaria correttezza nei confronti dei contribuenti, gli uffici, anche nelle ipotesi di non accoglimento delle istanze di parte per l'accertata insussistenza delle ragioni addotte, avranno cura di comunicare agli interessati l'esito dell'intervenuto riesame dell'atto contestato, enunciando, anche susccintamente, i motivi del rigetto...". Vedi Dir. Reg. delle Entrate per la Lombardia - div. V, serv. III, Circ. n. 3/22993/Dir/99 del 16 novembre 1999, in Boll. trib., 2000, n. 3, 204 ss.

Ritorna al link (53) Per un approfondimento vedi retro § 4.1. La legge n. 241/1990, 12.


Ritorna al link (54) Ed in questo senso il Ministero delle finanze, con la Circ. n. 450 del 6 giugno 1994, ha disposto che ciascun ufficio che riceva istanze, esposti o segnalazioni dai cittadini, non deve trascurare di valutare i loro contenuti e, ove ne verifichi la fondatezza adottare le iniziative ed i provvedimenti del caso. Cfr. Min. fin., Circ. 6 giugno 1994 in Dir. prat. trib., 1994, I, 1437 ss.

Ritorna al link (55) Un più forte riconoscimento di siffatta posizione giuridica tutelata in capo al contribuente, sembra prospettarsi altresì dal cd. Statuto del contribuente. In particolare l'art. 9 del DDL 8 agosto 1996, tutela l'affidamento e la buona fede del contribuente. Al riguardo vedi Serranò`, Lo statuto del contribuente: tra realtà e telenovela, in Boll. trib., 1997, n. 11, 835 ss.

Ritorna al link (56) Al riguardo, la stessa amministrazione finanziaria ha chiarito che l'esercizio del potere di autotutela non incontra altri limiti oltre quello della sentenza passata in giudicato ed in considerazione del principio per cui l'annullamento di un atto non può spingersi fino all'eliminazione di situazioni irrevocabili ed esauritesi nel tempo ( factum infectum fieri nequit) ha ritenuto che quando sia trascorso un periodo di tempo adeguatamente lungo, durante il quale l'atto abbia esplicato i propri effetti senza alcuna contestazione, non può non ritenersi prevalente l'interesse alla certezza e alla stabilità delle situazioni giuridiche, per cui non sarà più possibile procedere al riesame. Cfr. Circ. Dir. delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento - servizio I - Divisione I, n. 9282 del 12 marzo 1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate - Ufficio del Direttore Generale, n.195/E/4762/UDC dell'8 luglio 1997, in Fisco, 1997, n. 30, 8578 ss.

Ritorna al link (57) Cfr. Direttiva 29 marzo 1994 n. 10932 della Dir. gen. delle Entrate per l'Emilia Romagna, in Boll. trib., 1994, n. 11, 850 ss., e pure in Fisco, 1994, n. 20, 5122 ss.


Ritorna al link (58) Vedi: Circ. min. 25 giugno 1994, n. 100/S/UCIP/1692, del Segretario generale, Ufficio centrale per l'elaborazione degli indicatori di produttività e Ufficio centrale per l'informazione del contribuente, in Boll. trib., 1994, n. 13, 1016 ss.; Circ. Min. fin., 6 giugno 1994 n. 450, in Dir. prat. trib., 1994, I, 1437 ss.: e pure la nota del Ministero della finanze Dip. - segretario generale - 18 luglio 1994, con nota di Ficari, Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria nei recenti chiarimenti ministeriali, in questa Rivista, 1994, III, 389 ss. ed in Fisco, 1994, n. 25, 6185 ss.

Ritorna al link (59) Nel senso che "alla nozione di giudicato debba essere assimilato anche l'effetto di definitività dell'atto amministrativo...", vedi Ris. min., 25 gennaio 1993, n. 500311 della Dir. gen. Tasse e Imposte indirette affari, Div. XVI, in Boll. trib., 1993, n. 6, 504-505.

Ritorna al link (60) Cfr. Ris. min., 14 luglio 1995, n. 194/E, in Boll. trib., 1995, n. 18, 1326.


Ritorna al link (61) Cfr. Lupi, cit., in Fisco, 1992, n. 23, 1801 ss.


Ritorna al link (62) L'indirizzo della giurisprudenza, sull'argomento, emerge chiaramente dalle decisioni della Comm. centr., sez. XVI, 2 novembre 1994, in Boll. trib., 1995, n. 23, 1760, ma altresì - da ultimo - dalla sentenza della Cass., sez. I, 11 novembre 1998, n. 11364, in Boll. trib., 1999, n. 9, 749 ss., in cui la Cassazione, in termini rigorosi, esclude che l'amministrazione finanziaria possa provvedere all'annullamento di un atto impositivo in sede di riscossione, qualora l'atto di accertamento sia divenuto definitivo, per mancata impugnazione.

Ritorna al link (63) L'esercizio di un potere non determina, infatti, la consumazione del potere stesso, per cui l'ufficio impositore, in presenza di un atto nullo può procedere ad un nuovo accertamento che rimuova la causa di nullità che ha colpito il precedente. In questo senso si è espressa la Cass. 29 marzo 1990 n. 2576, in Boll. trib., 1990, n. 17,1274 ss. per cui salvo che sia intervenuto giudicato l'amministrazione finanziaria può sempre integrare o rinnovare i propri atti di accertamento entro il termine di decadenza di cui all'art. 43 del DPR n. 600/1973, non essendo venuto meno il potere di accertamento della stessa. Nello stesso senso vedi anche Comm. centr., sez. VIII, 13 maggio 1988 n. 4183, in Boll. trib., 1989, n. 1, 70.

Ritorna al link (64) Cfr. Circ. Dir. delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento - servizio I - Divisione I, n. 9282 del 12 marzo 1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate - Ufficio del Direttore Generale, n. 195/E/4762/UDC dell'8 luglio 1997, in Fisco, 1997, n. 30, 8578 ss.

Ritorna al link (65) Sull'argomento vedi Loche, cit. in Fisco, n. 33, 1994, 7858 ss., Lupi, cit. in Boll. trib., 1992, 23, 1801 ss.; Id., Atti definitivi e decadenze: se l'autotutela non arriva, cosa può fare il contribuente?, in Rass. trib., n. 5, 1994, 750 ss.; Messina, L'annullamento d'ufficio degli atti impositivi illegittimi, alla luce dell'art. 68 del DPR n. 287/1992, in Fisco, 1993, n. 44, 10998 ss.

Ritorna al link (66) Sulla posizione giuridica del contribuente vedi retro § 4.2. La posizione giuridica del contribuente, 13.


Ritorna al link (67) Deve ritenersi, infatti, che il contribuente, ancorché siano scaduti i termini per impugnare l'atto, si trovi in una condizione differenziata rispetto al fatto imponibile oggetto del potere amministrativo che lo riguarda.

Ritorna al link (68) Cfr. In tal senso, la Circ. min., 25 giugno 1994, n. 100/S/UCIP/1692, del Segretario generale, Ufficio centrale per l'elaborazione degli indicatori di produttività e Ufficio centrale per l'informazione del contribuente, in Boll. trib., 1994, n. 13, 1016 ss.

Ritorna al link (69) Sull'applicazione della legge n. 241/1990 in materia tributaria, vedi la Circ. min. 13 febbraio 1995, n. 49/S/Ucip, in Boll. trib., 1995, n. 4, 273 ss.


Ritorna al link (70) Vedi Cons. St., ad. plen., 10 marzo 1978, n. 10, in Foro amm., 1979, I, 2357 ss.


Ritorna al link (71) Il DL 12 maggio 1995, n. 163, all'art. 3-ter disciplina espressamente "rimedi per l'inosservanza dei termini". Cfr. in Boll. trib., 1995, n. 15, 1169 ss.


Ritorna al link (72) Sul punto vedi anche M.T. Moscatelli, Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, in Rass. trib., 1997, n. 5, 1107 ss., nonché Perrucci, L'autotutela tributaria e il suo diniego di fronte alla verifica giurisdizionale, in Fisco, n. 14, 2000, 4473 - 4474.

Ritorna al link (73) Vedi art. 19 DPR n. 546/1992.


Ritorna al link (74) La risarcibilità dei danni derivanti dal silenzio illegittimo della pubblica amministrazione, deve, infatti, ritenersi implicitamente riconosciuta sulla base all'art. 2 della legge n. 241/1990, perché diversamente nessuna rilevanza assumere, e la previsione della sanzione del risarcimento a carico del funzionario.
Per un approfondimento sui principi programmatici di cui alla legge n. 241/1990 vedi retro § 1., L'autotutela tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali, nonché § 4.1., La legge n. 241/1990, 12.

Ritorna al link (75) Cfr. La Ris. n. 160/E del 16 luglio 1997 in Fisco, 1997, n. 33, 9687 ed in dottrina Mifsud, Il Ministero delle Finanze ha riconosciuto il diritto del contribuente ad essere ristorato di tutti gli oneri sostenuti in relazione ad un pagamento non dovuto, in Fisco, 1997, n. 33, 9662 ss.

Ritorna al link (76) Al riguardo si veda l'art. 68 del DPR n. 546/1992.


Ritorna al link (77) Si pensi per esempio al danno sofferto per il fallimento dell'attività imprenditoriale di colui che abbia dovuto corrispondere all'erario una somma superiore alle proprie capacità reddituali.

Ritorna al link (78) Sull'argomento vedi R. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 832 ss.; nonché M. Bianca, Diritto civile - la responsabilità, Milano, 1994, V, 637 ss.; e Virga, Diritto Amministrativo, i Principi, Milano, 1995, 417 ss.
In giurisprudenza, sulla risarcibilità dei danni sofferti dal contribuente vedi Trib. di Verona, sez. II civ. 30 aprile 1991 n. 509, in Boll. trib., n. 3, 1992, 296, nonché Comm. trib. centr., sez. XVIII 15 gennaio 19991 n. 239, in Boll. trib., n. 9, 1991, 716.

Ritorna al link (79) Vedi retro § 4.2. La posizione giuridica del contribuente, 457.


Ritorna al link (80) Vedi: Cons. St., ad. plen., 10 marzo 1978 n. 10, in Giust. civ., 1978, II, 269 e Cons. St., sez. VI, 7 luglio 1986 n. 483, in Foro amm., 1986, 1361.


Ritorna al link (81) In tal senso in giurisprudenza vedi Tar Sicilia, Catania, 10 marzo 1986 n. 179, in Tar, 1986, I, 1994 ss. ed in dottrina R. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 492-493.

Ritorna al link (82) Per un approfondimento giurisprudenziale in tema di risarcibilità degli interessi legittimi si veda: Cass., SS.UU. civ., 22 luglio 1999 n. 500, in Foro it., 1999 n. 9. I, 2487 ss.; Cass., SS.UU. civ., 3 agosto 1993 n. 8545, in Giur. it., 1994, I, 1, 1354 ss.; Cass., SS.UU. civ., 10 novembre 1993 n. 11077, in Il Corr. giur., n. 5/1994, 620 ss.; Trib. Voghera, 11 gennaio 1996, in Il Corr. giur., n. 10, 1996 1148 ss.; Cass., sez. I civ., 3 maggio 1996 n. 4083, in Il Corr. giur., n. 1/1997, 59 ss.; Cass., SS.UU. civ., n. 97/10453 e Cass., SS.UU. civ., n. 98/5144, in Codice Civile commentato, art. 2043, Padova, 1998, App. Trento, 3 maggio 1996, in Corr. giur. 1997, n. 1, 70-71; Trib. Trani, 24 ottobre 1995, in Corr. giur., 1997, n. 1, 71 ss.; Cass., SS.UU. civ., 18 maggio 1995 n. 5477, in Giust. civ. Mass., 1995, 1027; Cass., SS.UU. civ., 16 dicembre 1994 n. 10800, in Foro it. Rep., 1994, voce Edilizia e urbanistica n. 621; Cass., SS.UU. civ., 20 aprile 1994 n. 3732 in Foro it., 1994, I, 1, 250 ss.; Cass., SS.UU. civ., 22 luglio 1993 n. 8181 in Foro it., 1994, I, 1, 1853 ss.; Cass., SS.UU. civ., 6 luglio 1992 n. 8211, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 6 luglio 1992 n. 8210, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 26 luglio 1990 n. 7555, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 3 luglio 1989 n. 3183, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 1 ottobre 1982 n. 5030, in Giust. civ., 1982, I, 2917 ss.
In dottrina si veda: Satta, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1369 ss.; Scoditti, Una apertura giurisprudenziale su violazione di interessi legittimi e responsabilità civile, nota a Cass., SS.UU. civ., 22 luglio 1993 n. 8181, in Foro it., 1994, I, 1, 1853 ss.; Franzoni, Risarcimento per lesione di interessi legittimi, in Contr. e impr., 1993, 274 ss.; Benini, Commento a Cass. civ., SS.UU., 20 aprile 1994 n. 3732 in Foro it., 1994, I, 1, 250 ss. Palmieri, Commento a Cass. civ., sez. I, 3 maggio 1996 n. 4083,in Il Corr. giur., n. 1/1997, 59 ss.; Mastrorilli, Commento a Corte Appello Trento 3 maggio 1996, in Corr. giur. 1997, n. 1, 70 ss.; Saporito, Commento a Cass. civ., SS.UU., 10 novembre 1993 n. 11077, in Il Corr. giur., n. 5/1994, 624 ss.; Roselli, Alcune questioni sul risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi nel diritto pubblico e nel diritto privato,in Foro it., 1994, I, 59 ss.; Caringella, Commento a Tribunale di Voghera 11 gennaio 1996, in Il Corr. giur., n. 10, 1996, 1153 ss.; Rampazzi, La Cassazione riafferma la irrisarcibilità degli interessi legittimi, in Foro it., 1994, I, 250 ss.

Ritorna al link (83) Perché sorga la responsabilità da atto illecito, non basterebbe, infatti, che il comportamento della pubblica amministrazione sia "non iure",cioè contrario alle leggi, ma dovrebbe essere anche "contra ius", cioè lesivo di una posizione di diritto soggettivo.
Sull'argomento vedi: R. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 87 ss.; nonché M. Bianca, Diritto civile - la responsabilità, Milano, 1994, V, 637 ss.; Virga, Diritto Amministrativo, i Principi, Milano, 1995, 421.

Ritorna al link (84) Vedi Cass., SS.UU. civ., 3 luglio 1989 n. 3183, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 7; Cass., sez. I civ., 25 marzo 1988 n. 2579, in Foro it., 1988, I, 3328.


Ritorna al link (85) Cfr. le due direttive Cee n. 89/665 del 21 dicembre 1989 e n. 92/13 del 25 febbraio 1992, nonché le Leggi n. 142/92 (art. 13); n. 493/93 (art. 4); e n. 109/94 ed il D.Lgs. n. 157/1995.


Ritorna al link (86) Si veda: Cass., SS.UU. civ., 22 luglio 1999 n. 500, in Foro it., 1999 n. 9. I, 2487 ss.


Ritorna al link (87) La legge n. 59/1997, prevedendo l'obbligo di indennizzo dei danni conseguenti al ritardo della pubblica amministrazione ha, infatti, riaperto la questione della risarcibilità degli interessi legittimi, che sembrava essersi sopita dopo che i giudici di legittimità avevano escluso la possibilità di considerare le disposizioni dell'art. 13 della legge n. 142/1992, quali principi generali della risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo.
Al riguardo vedi: Cass., SS.UU. civ., 16 dicembre 1994 n. 10800, in Giust. civ. Mass., 1994, fasc. 12.

Ritorna al link (88) Sulla giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di risarcimento danni subiti dal contribuente, si è espressa la Comm. centr., sez. XVII, con sentenza 15 gennaio 1991 n. 239, in Boll. trib., 1991, n. 9, 716, nonché il Trib. Verona, sez. II civ., con sentenza 30 aprile 1991 n. 509, in Boll. trib., 1992, n. 3, 296 ss. e la Comm. centr. sez. XIV con sentenza 12 giugno 1995 n. 2417, in Foro it., 1995, III, 632 ss.

Ritorna al link (89) Si pensi ad un accertamento di valore che per errore dell'ufficio includa beni di grande rilevanza appartenenti a terzi, rinnovato a seguito di un erroneo esercizio del potere di autotutela su richiesta documentata del privato, cui derivi perciò un danno dall'iscrizione a ruolo provvisoria.

Ritorna al link (90) Sul punto vedi Cass. civ. n. 5361/1984 riportata in nota all'art. 2043 c.c., XII - la responsabilità della pubblica amministrazione,Cian-Trabucchi, Commentario breve del codice civile, Padova, 1992, 1680 - 1681.

Ritorna al link (91) Vedi l'art. 2, comma 1, del Ris. min., 11 febbraio 1997 n. 37 approvato dal Consiglio di Stato nell'adunanza generale del 28 novembre 1996 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 1997 n. 53. Vedi in Boll. trib., n. 5, 1997, 386.