L'autotutela tributaria
Riv. dir. trib. 2001, 3, 441
Katia Scarpa
SOMMARIO: 1. L'autotutela
tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei
principi costituzionali. - 2. Uno sguardo ai poteri della pubblica
amministrazione: il potere di autotutela. - 3. I poteri
dell'amministrazione finanziaria ed i loro limiti. - 3.1. Il potere di
autotutela dell'amministrazione finanziaria: il silenzio del legislatore e le
interpretazioni della dottrina e della giurisprudenza. - 4. L'intervento
del legislatore sull'autotutela dell'ente impositore. - 4.1. La legge n.
241/1990. - 4.2. La posizione giuridica del contribuente. - 4.3. La disciplina normativa: l'art. 68 del DPR n. 287/1992 e l'art. 2-quater del DL
n. 564/1994. - 4.4. (Segue). La disciplina normativa: il regolamento per
l'esercizio del potere di autotutela. - 5. La natura del potere di
autotutela dell'amministrazione finanziaria. - 5.1. Il potere di
autotutela dell'amministrazione finanziaria come autotutela migliorativa per il
contribuente. - 5.2. Il potere di autotutela dell'amministrazione
finanziaria nel caso di definitività degli atti impositivi. - 6. La
tutela del contribuente. - 6.1. La tutela del contribuente nel caso di
mancato esercizio del potere di autotutela: la tutela del diritto soggettivo ad
una tassazione adeguata al principio di capacità contributiva. - 6.2. (Segue). La tutela dell'interesse legittimo del contribuente all'esercizio del
potere di autotutela. - 6.3. La tutela del contribuente nel caso di
erroneo esercizio del potere di autotutela. - 7. Conclusioni.
1. L'autotutela tributaria: un preciso
obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali. - Da tempo i giudici di legittimità (1) sono ancorati a quell'orientamento interpretativo per cui dovrebbe escludersi
un preciso dovere dell'amministrazione finanziaria di ritirare gli atti
illegittimi, in quanto si tratterebbe di un'attività "discrezionale"
che "implica l'apprezzamento dell'attuale interesse pubblico alla
rimozione dell'atto ...e non... il mero ristabilimento dell'ordine giuridico
violato" (2).
Sembra, però, che con un generico rinvio ai principi generali in materia di
autotutela amministrativa (3) la
Suprema Corte rinunci ad una presa di posizione che tenga conto della natura
dei poteri che sono propri degli uffici finanziari.
Diversamente, non avrebbe potuto ignorare che il legislatore ha attribuito
all'amministrazione finanziaria un potere peculiare, che la contraddistingue
dagli altri settori pubblici: un potere di controllo (4), doveroso, perché finalizzato alla corretta esecuzione
dell'obbligazione tributaria, che è peraltro un'obbligazione sui generis, trovando fonte di legittimazione anzitutto nella Carta costituzionale all'art.
53.
I Supremi Giudici di legittimità, poi, avrebbero potuto considerare che i
vincoli legali che governano l'azione dell'ente impositore allorché procede
all'accertamento tributario, non potrebbero venire meno qualora, in seconda
istanza, esercitando il potere di autotutela, l'ente medesimo riveda la sua
azione ed eventualmente annulli o confermi il provvedimento precedentemente
adottato.
L'interpretazione della Corte di cassazione, invece - non tenendo conto neppure
della differenziazione tra il momento del riesame e quello dell'annullamento -
conduce al mero arbitrio del funzionario, che sarebbe titolare di un potere
discrezionale di rivedere i propri atti e di confermare un avviso di
accertamento tributario, ancorché sia stata riscontrata la presenza di motivi
di illegittimità, qualora manchi quel (non meglio precisato) "interesse
pubblico alla rimozione dell'atto", che solo renderebbe opportuna la sua
eliminazione.
Siffatta discrezionalità del funzionario delle finanze, a ben guardare, è però
disconosciuta dalla stessa amministrazione finanziaria la quale, da tempo, ha
affermato che il potere di autotutela è volto alla "ottimizzazione del
rapporto tra contribuente e fisco ed all'esigenza di tutelare l'interesse
concreto ed attuale all'equità fiscale al buon andamento dell'azione
amministrativa ed all'economicità ed efficacia della stessa" (5) e si estrinseca in un attività
di "riesame, il cui esercizio si impone per corrispondere all'esigenza di
correttezza ed imparzialità dell'azione amministrativa" (6) e, da ultimo, con il DM 11
febbraio 1997 n. 37 ha espressamente previsto un potere sostitutivo della
Direzione Regionale delle Entrate per il caso di grave inerzia dell'ufficio
competente(7).
Deve, inoltre, ritenersi che l'esercizio dell'autotutela sia un potere-dovere
anche con riferimento ai massimi principi dell'ordinamento.
Il principio di doverosità dell'azione amministrativa, è, infatti, espressione
di uno dei fondamenti della Carta costituzionale: il principio di legalità,
consacrato agli artt. 97 e 23 Cost.
Il legislatore (in ossequio anche al principio di capacità contributiva, di cui
all'art. 53 Cost.) ha rigorosamente disciplinato il potere dell'amministrazione
finanziaria, vincolandolo a rigidi parametri di legge ed escludendo ogni
discrezionalità in ordine all' an, al quomodo ed al quando dell'azione amministrativa, in funzione garantista della posizione giuridica
del contribuente.
Considerando l'autotutela tributaria un potere discrezionale non doveroso, la
Suprema Corte mostra perciò di mettere da parte gli stessi fondamenti (di
rilevanza Costituzionale) del potere attribuito agli uffici delle finanze e di
ignorare che in materia di prestazioni imposte l'interesse pubblico è quello
alla "corretta imposizione fiscale" che sia, cioè, rispettosa
dell'effettiva capacità economica del cittadino.
Vi è di più. Ammettere che la pubblica amministrazione, in sede di riesame,
eserciti un potere discrezionale, non doveroso, né vincolato, vale a negare
altres il principio di imparzialità e buon andamento sanciti dall'art. 97 Cost.
nonché i principi di buona fede (che è corollario del principio di solidarietà
di cui all'art. 2 Cost.) e di efficienza posti dalla legge n. 241/1990 (8).
Con tale ultimo intervento, in particolare, il legislatore ha riconosciuto il
bisogno di assicurare che le aspettative del privato siano curate in relazione
ai fini pubblici da perseguire ed ha regolamentato il procedimento in cui si
estrinseca il potere degli organi pubblici a garanzia di un corretto esercizio
del potere da parte della pubblica amministrazione, imponendo il rispetto della
trasparenza, efficacia ed economicità nell'azione amministrativa.
Uno studio del potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria non può,
dunque, prescindere dall'analisi comparativa del medesimo potere attribuito
agli altri organi pubblici, tenendo conto dei caratteri peculiari dell'azione
dell'ente delle finanze nonché degli obblighi di correttezza imposti dal
legislatore, alla luce dei principi costituzionali e delle direttive impartite
dalla legge n. 241/1990 a garanzia di una buona amministrazione.
Sembra potersi concludere da ciò, che l'esame più approfondito del potere di
autotutela nel diritto tributario avrebbe consentito di individuarne i
caratteri che lo distinguono dal medesimo potere degli altri organi pubblici ed
avrebbe permesso di rilevare che la tutela dell'affidamento (che discende dal
ruolo partecipativo e collaborativo che viene attribuito al cittadino dalla
legge sul procedimento amministrativo) deve essere riconosciuta, anche al
contribuente che abbia confidato nel corretto esercizio dei poteri
dell'amministrazione finanziaria (9).
2. Uno sguardo ai poteri della pubblica amministrazione: il potere di
autotutela. (10) - Quando il
legislatore conferisce alla pubblica amministrazione il potere di agire
nell'esercizio delle proprie funzioni, attribuisce ad essa la capacità di
intervenire, in concreto, nel momento in cui si realizza la fattispecie
astrattamente delineata nella norma di legge, per perseguire l'interesse
pubblico, alla cui cura è preposta.
Ciò comporta per l'amministrazione una verifica della conformità della
fattispecie concreta alla previsione astratta della norma di legge e l'adozione
del provvedimento più idoneo a disciplinare i singoli casi.
Pertanto, ogni attività della pubblica amministrazione costituisce
manifestazione concreta del potere astrattamente attribuitole dalla legge.
Si distingue infatti un'attività di autorganizzazione degli uffici, espressione
del potere di autonomia; un'attività di amministrazione attiva, preposta alla
funzione esecutiva, e perciò al raggiungimento del fine pubblico, anche
imponendo ad altri soggetti di tenere il comportamento più idoneo allo scopo
pubblico, espressione del potere di autarchia; ed un'attività di riesame, volta
alla autonoma risoluzione dei conflitti attuali e potenziali con i destinatari
degli atti della pubblica amministrazione, espressione del potere di autotutela (11).
Il legislatore, attribuendo alla pubblica amministrazione quest'ultimo potere,
persegue lo scopo di consentire alla stessa un intervento in via modificativa o
caducatoria sull'atto precedentemente adottato onde prevenire la soluzione
giurisdizionale del conflitto eventualmente insorgente con il destinatario
dell'atto stesso ed al contempo assicurare il perseguimento dell'interesse
pubblico ed il buon andamento dell'amministrazione in termini di efficacia,
economicità e tempestività.
Si tratta di un potere discrezionale per cui l'autorità amministrativa ha la
facoltà di rivedere i propri atti, non solo sotto il profilo della legittimità
formale, ma pure sotto il profilo della effettiva idoneità a perseguire gli
scopi di legge nel modo ottimale, riponderando gli interessi pubblici sottesi
alla loro adozione.
Poiché si tratta di un potere di revisione di atti precedentemente adottati,
viene in rilievo la stretta relazione intercorrente col potere di
amministrazione attiva, il continuum tra l'originaria ponderazione degli
interessi sottesi all'atto precedentemente adottato e quella in funzione di
riesame.
Presupposto e limite dell'attività di autotutela, pertanto, sarebbe la
permanenza dell'attribuzione del potere di amministrazione attiva in capo
all'ente, nonché il non esaurimento degli effetti dell'atto precedentemente
adottato e la legittimazione dello stesso organo che ha adottato il
provvedimento (o di quello gerarchicamente superiore).
L'esercizio del potere di autotutela si estrinseca in un procedimento ad
iniziativa d'ufficio e discrezionale, per cui non è ipotizzabile alcuna
responsabilità della pubblica amministrazione nel caso di un silenzio - inadempimento
a seguito di istanza del privato - interessato.
Durante la fase istruttoria e decisoria, la pubblica amministrazione è chiamata
a rivedere i suoi atti verificandone la compatibilità con gli schemi legali
ovvero l'effettiva idoneità al perseguimento dell'interesse pubblico di legge.
In presenza di vizi, esercitando un potere discrezionale, dovrà decidere
l'esito del procedimento, potendo provvedere alla rimozione ovvero alla
conservazione o convalidazione dell'atto (sia quando l'illegittimità o l'inopportunità
derivi da ragioni risalenti al momento della sua adozione, sia quando dipenda
da ragioni sopravvenute) avendo riguardo esclusivamente all'interesse pubblico,
che assume valenza dominante l'intero procedimento (12).
Il procedimento termina con l'adozione di un provvedimento (cd. di secondo
grado) - con cui la pubblica amministrazione risolve il conflitto potenziale o
attuale con il destinatario dell'atto di primo grado - che è atto
discrezionale, obbligatoriamente motivato, dovendo risultare l'interesse
pubblico perseguito.
Il potere di autotutela si traduce, pertanto, nell'adozione di provvedimenti di
secondo grado (o di riesame) che possono avere natura repressivo caducatoria
(atti di ritiro), modificativo conservativa (atti di convalidazione) ovvero
natura confermativa (atti di conservazione), a seconda del prevalente interesse
pubblico (13).
3. I poteri dell'amministrazione finanziaria ed i loro limiti. -
All'amministrazione finanziaria il legislatore ha conferito il potere di agire
e perciò la capacità di intervenire in concreto, per perseguire l'interesse
pubblico al prelievo tributario.
Stante la peculiarità dell'interesse alla cui cura è preposta l'amministrazione
finanziaria, i suoi poteri autoritativi assumono connotati peculiari che la
distinguono dagli altri organi dell'amministrazione pubblica.
L'art. 53 Cost., infatti, nell'enunciare il principio fondamentale secondo cui
tutti devono concorrere alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità
contributiva, individua l'interesse pubblico nell'esigenza che tutti
partecipino alle spese dello Stato.
Tale disposizione, però, è posta altres a tutela dell'interesse privato a non
subire un pregiudizio da atti impositivi illegittimi, che superino il limite
dell'attitudine oggettiva alla contribuzione.
In coerenza col principio espresso dall'art. 23 Cost., a tenore del quale
nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge,
il legislatore ha perciò rigidamente vincolato il potere impositivo, non
lasciando alcun margine di valutazione discrezionale all'amministrazione
finanziaria.
Pertanto, ogni attività dell'ente impositore, quale manifestazione concreta
della potestà attribuita dal legislatore, deve svolgersi in modo
imprescindibile ed obbligatorio nei limiti prefissati dalle norme di legge.
Dall'analisi di tali disposizioni si osserva che si tratta di un potere di
controllo, volto alla verifica del corretto adempimento dell'obbligazione
tributaria, posta dall'art. 53 Cost. e perciò finalizzato alla tutela
dell'interesse al giusto prelievo fiscale, cioè rispettoso dell'effettiva
attitudine contributiva del cittadino(14).
Poiché si tratta di un'attività vincolata, che impegna solo il giudizio
dell'ente impositore, la sua discrezionalità è limitata alla verifica del
presupposto di fatto dell'imposta ed alla valutazione degli elementi acquisiti
alla stregua dei parametri di legge.
Il legislatore, infatti, ha espressamente regolato l'attività impositiva,
disponendo che costituisce esercizio di uno specifico potere-dovere
dell'amministrazione finanziaria l'attività di accertamento dei presupposti di
imposta (avvalendosi di poteri di indagine e di iniziativa istruttoria), quella
di espropriazione coattiva (che inizia con la formazione del ruolo e la
notifica della cartella esattoriale) e quella di verifica tecnica del corretto
versamento dell'imposta e di rettifica degli errori materiali e di calcolo (15).
3.1. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria - Fino al
1992 (quando con l'art. 68 del DPR n. 287/1992 il legislatore è intervenuto
nella materia) era dubbio se potesse riconoscersi in capo all'amministrazione
finanziaria la titolarità di un potere di autotutela.
Il problema del riconoscimento di siffatto potere in capo all'ente impositore
si poneva, essenzialmente, con riferimento alla questione dell'ammissibilità o
meno di un provvedimento di integrazione o rinnovazione di un avviso di
accertamento viziato, in particolare, a seguito di impugnazione in sede
giurisdizionale.
Al riguardo si fronteggiavano due diverse posizioni interpretative.
Parte della dottrina e della giurisprudenza riteneva che all'amministrazione
finanziaria non potesse riconoscersi il potere di rinnovare i propri atti, in
quanto con l'emissione del primo avviso di accertamento avrebbe consumato il
potere di accertamento d'imposta (17).
Altri invece ammettevano l'adozione di provvedimenti di secondo grado facendo
leva, ora sui principi generali dell'ordinamento, ora su specifiche norme
tributarie(18).
Secondo i principi cardine dell'ordinamento giuridico, l'esercizio del potere
di autotutela appariva, infatti, essere sempre possibile, poiché è finalizzato
al perseguimento del prevalente interesse pubblico alla giusta imposizione
fiscale (19).
La fonte normativa del potere è stata individuata, invece, da alcuni nell'art.
34 del RDL 30 dicembre 1923 n. 3269. Con tale norma, infatti, il legislatore
attribuendo all'amministrazione il potere di rinnovare la notificazione di un
avviso di accertamento anche in caso di nullità della prima, avrebbe
riconosciuto ad essa il potere di rivedere i propri atti e di adottare i
provvedimenti di secondo grado più idonei al perseguimento dell'interesse
pubblico.
Altri ha ritenuto, invece, che la fonte normativa del potere di autotutela
dell'amministrazione finanziaria dovesse rinvenirsi nelle disposizioni degli
artt. 43 del DPR n. 600/1973 e 57 del DPR n. 633/1972 (20).
Disponendo che l'amministrazione finanziaria può procedere ad integrare o
modificare in aumento un atto di accertamento, qualora sia venuta a conoscenza
di nuovi elementi non conosciuti né conoscibili al momento del primo
accertamento (21), il
legislatore avrebbe, infatti, conferito all'ente impositore il potere di
aggiungere nuovi elementi utili ai fini della determinazione del presupposto
d'imposta nonché il potere di rivedere i propri atti e quindi di revocarli, ma
esclusivamente ai fini dell'aumento dell'imponibile accertato.
Si tratterebbe pertanto di un autotutela non satisfattiva per il contribuente.
A diversa conclusione è pervenuta parte della giurisprudenza (22), la quale, traendo spunto
dagli artt. 36 bis del DPR n. 600/1973 e 41 del DPR n. 602/1973, ha ritenuto
che l'autotutela sia un potere volto alla corretta imposizione fiscale e perciò
non necessariamente sfavorevole al contribuente. Ciò in quanto sarebbe preciso
obbligo (23) dell'ufficio
impositore correggere gli errori, anche propri - cioè non solo quelli contrari
al contribuente (da cui insorgesse l'obbligo di corrispondere una maggiore
imposta) ma anche quelli a lui favorevoli (da cui derivasse un suo diritto ad
una minore imposta oppure al rimborso di quanto già pagato ed il conseguente
obbligo a carico dell'Erario di provvedervi) - essendo pacifico che la
dichiarazione dei redditi si estrinseca in una manifestazione di scienza che
può essere corretta fino a quando non sia divenuto definitivo il rapporto
d'imposta (24).
Vi è stato poi chi ha ricondotto il potere di autotutela all'art. 21 del DPR n.
636/1972 ritenendo che il legislatore, laddove ha disposto la sospensione del
processo tributario in presenza di vizi di incompetenza o, comunque, non
attinenti all'esistenza o all'ammontare del credito tributario, avrebbe
consentito all'amministrazione di rinnovare l'atto impugnato, conferendo
all'ente impositore solamente un potere di autotutela satisfattivo delle
pretese del ricorrente, nell'ambito del rapporto processuale (25).
Sulla questione la Corte di cassazione (26) (nel vigore del DPR n. 636/1972) aveva precisato: in
via preliminare che non si dovesse confondere il potere processuale delle
Commissioni tributarie di disporre la rinnovazione dell'atto impugnato ai sensi
dell'art. 21 del DPR n. 636/1972 con il potere sostanziale dell'amministrazione
finanziaria di correggere gli errori dei propri provvedimenti entro i termini
di legge, quindi, che l'art. 43 del DPR n. 600/1973, costituirebbe la fonte
normativa cui ricondurre solamente il potere di integrare o modificare in
aumento l'atto di primo grado che, sebbene illegittimo, presenti i requisiti
minimi essenziali per la sua esistenza; infine, che ove l'atto sia inesistente,
il potere di correzione sarebbe attribuito all'ente impositore dai principi
generali dell'ordinamento giuridico.
Secondo la Suprema Corte, anche dopo la decisione dei giudici tributari,
l'amministrazione finanziaria avrebbe il potere di rivedere i propri atti,
riponderando i presupposti dell'imposizione, ed il potere di adottare un
secondo atto di accertamento che però non violi né eluda il giudicato e non sia
perciò riproduttivo di quello annullato, ma si limiti a correggere i vizi
formali (27).
L'esercizio del potere di autotutela - secondo il parere della Corte di
cassazione - si estrinseca, pertanto, in un'attività di riesame, per cui l'ente
impositore considerati i presupposti dell'imposizione e le ragioni trascurate
nel primo atto adottato (motivandone l'esclusione dall'avviso originario e la
successiva necessaria considerazione) procede al suo annullamento ed
all'adozione di un nuovo provvedimento, senza però eludere l'accertamento dei
fatti materiali acquisiti nella sentenza passata in giudicato.
Dopo la riforma del contenzioso tributario del 1992, la posizione della
giurisprudenza di legittimità non è mutata ed è rimasta ancorata
all'interpretazione secondo cui anche in materia tributaria l'autotutela
costituisce attività discrezionale, che "implica l'apprezzamento
all'attuale interesse pubblico alla rimozione dell'atto" (28).
4. L'intervento del legislatore sull'autotutela dell'ente impositore. - Il legislatore ha colmato la lacuna normativa, intervenendo nella materia con
le disposizioni contenute negli artt. 68, comma 1, del DPR n. 287/1992 (29), e 2-quater del DL n.
564/1994, convertito in legge n. 656/1994 (30).
Tuttavia non ha risolto i dubbi sollevati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, riguardo alla natura del potere di autotutela dell'ente
impositore e dell'attività attraverso cui esso si esercita.
Resta aperta, soprattutto, la questione della discrezionalità od obbligatorietà
dell'attività dell'amministrazione finanziaria, con riferimento alla tutela del
contribuente di fronte ad atti contrari al principio di capacità contributiva.
Tale problema va inquadrato nell'ambito dell'analisi dell'attività
amministrativa tributaria in relazione ai principi espressi dalla legge n.
241/1990 ed alla natura della posizione giuridica assunta dal contribuente.
4.1. La legge n. 241/1990. - Con la legge 7 agosto 1990 n. 241 il
legislatore ha anzitutto affermato il principio secondo cui l'attività
amministrativa è sempre vincolata ai fini determinati dalla legge (31) ed è retta dai criteri di
economicità, efficacia e pubblicità per un buon andamento della pubblica
amministrazione(32).
Dall'analisi delle disposizioni normative sul procedimento amministrativo è
stata sottolineata in dottrina l'attenzione del legislatore per il destinatario
del provvedimento, al quale deve essere riconosciuto un ruolo partecipativo e
collaborativo con la pubblica amministrazione e conseguentemente una posizione
giuridica da tutelare sia in sede giustiziale che giurisdizionale.
Con riferimento alle disposizioni sul procedimento, inoltre, si è osservato che
la pubblica amministrazione avrebbe un preciso obbligo di provvedere in
presenza di quelle circostanze che l'art. 2 della legge n. 241/1990 indica
quali presupposti per l'apertura del procedimento (33).
L'art. 2 distingue, infatti, il caso in cui il procedimento "consegua
obbligatoriamente ad una istanza" da quello ad iniziativa
"d'ufficio".
Secondo l'interpretazione accolta dalla dottrina prevalente, non appena si
configuri in concreto l'esigenza di cura di un interesse pubblico, nonché a
seguito di specifica richiesta del soggetto interessato, la pubblica
amministrazione deve aprire il procedimento amministrativo, avendo un obbligo
giuridico di procedere.
Dopo la comunicazione dell'avvio del procedimento inizia la fase istruttoria,
nel corso della quale l'amministrazione procedente pone in essere tutti gli
atti che sono strumentali all'adozione del provvedimento finale.
Alla luce di tali disposizioni normative, (anticipando quanto si analizzerà in
seguito (34)) anche con
riferimento all'esercizio del potere di autotutela degli uffici finanziari
sussisterebbe, dunque, un preciso obbligo di procedere in presenza di un
interesse pubblico concreto all'apertura del procedimento, perché il legislatore
tributario ha disciplinato la materia rispettando le tipologie previste
dall'art. 2 della legge n. 241/1990 (35).
Il regolamento approvato con DM 11 febbraio 1997 n. 37, infatti, afferma che
l'amministrazione "può procedere in tutto o in parte all'annullamento o
alla rinuncia all'imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di
istanza di parte". Si tratta, dunque, di un procedimento ad iniziativa
d'ufficio, in cui la richiesta di parte si limita ad assumere il ruolo di
strumento di collaborazione, per il buon andamento dell'attività
amministrativa.
A seguito di istanza di annullamento d'ufficio, esiste, però, un obbligo di
procedere e cioè di riesaminare i propri atti verificando se sussistano i
presupposti per l'eliminazione, la sanatoria ovvero la conferma del
provvedimento di primo grado.
Sulla base della legge n. 241/1990 ed in particolare con riferimento al
disposto per cui la pubblica amministrazione ha il dovere di concludere il
procedimento con un atto espresso, motivato, deve ritenersi che, anche
nell'esercizio del potere di autotutela, gli uffici finanziari abbiano il
dovere di pronunciarsi con un provvedimento motivato.
Nel caso in cui si configuri in concreto l'esigenza di cura dell'interesse
pubblico alla corretta imposizione tributaria, ovvero vi sia una specifica
richiesta dell'interessato, e la pubblica amministrazione rimanga inerte non
può negarsi, perciò, al contribuente la possibilità di adire gli organi
giurisdizionali a tutela della propria posizione giuridica lesa
illegittimamente (36).
4.2. La posizione giuridica del contribuente. (37) - L'art. 53 Cost. -
nell'enunciare il principio fondamentale secondo cui tutti devono concorrere
alle spese pubbliche, in ragione della propria capacità contributiva -
individua l'obbligo del contribuente di pagare il tributo e specularmente il
diritto dello stesso a non subire un sacrificio eccessivo rispetto alla sua
concreta attitudine contributiva.
Sulla base di tale disposizione, parte della dottrina e della giurisprudenza ha
inquadrato la posizione giuridica del contribuente nell'ambito dei diritti soggettivi.
In considerazione del fatto che la legittimità dell'atto impositivo rende
incontrovertibile l'obbligo impositivo, precludendo al contribuente ogni tutela
del diritto alla giusta tassazione, altra parte della dottrina ha invece
configurato la condizione giuridica del contribuente come interesse legittimo.
L'interesse legittimo è una posizione giuridica di vantaggio in ordine ad un
bene oggetto di potere amministrativo, riconosciuta esclusivamente a quei
soggetti che rispetto al potere stesso si trovino in una posizione legittimante
(per la preesistenza di un precedente rapporto giuridico) che consiste
nell'attribuzione al medesimo soggetto di poteri e facoltà atti ad influire sul
corretto andamento dell'azione amministrativa, in modo da rendere possibile la
realizzazione dell'interesse al bene (38).
Poiché però il contribuente dispone di mezzi di tutela più ampi e penetranti di
quelli concessi al titolare di un interesse legittimo - che riceve una
protezione solamente mediata, in concomitanza e per effetto della tutela
primaria accordata all'interesse pubblico cui è connesso - altro orientamento
interpretativo ha ritenuto che la posizione giuridica del contribuente dovesse
configurarsi come diritto soggettivo ad una tassazione adeguata alla sua
effettiva capacità contributiva, che subisce un affievolimento qualora l'atto
impositivo definitivo non sia conforme al reale stato di fatto.
Tale soluzione interpretativa viene avvalorata altresì da quanti considerano
che - in virtù del particolare rapporto giuridico instaurato tra l'ente
impositore ed il soggetto passivo d'imposta - al contribuente si deve comunque
riconoscere ab origine l'interesse legittimo al corretto esercizio delle
potestà della pubblica amministrazione, ma che tale posizione giuridica del
contribuente verrebbe, di fatto, in rilievo solamente dopo il decorso dei
termini entro i quali è accordata la tutela del diritto.
Il contribuente, dunque, di fronte all'esercizio del potere impositivo gode del
diritto soggettivo ad una tassazione adeguata alla sua capacità contributiva,
tutelabile dinanzi alla Commissione tributaria, entro i termini di legge, e
pure di un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri
dell'amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio di legalità.
Scaduti i termini di definitività del provvedimento impositivo, non potendo più
adire gli organi della giustizia tributaria, il soggetto passivo di imposta
illegittimamente danneggiato da un comportamento dell'amministrazione finanziaria
trova, pertanto, tutela in concreto solo innanzi agli organi della giustizia
amministrativa (39).
4.3. La disciplina normativa: l'art. 68 del DPR n. 287/1992 e l'art.
2-quater del DL n. 564/1994. - Il legislatore tributario ha attribuito
espressamente il potere di autotutela all'amministrazione finanziaria,
statuendo all'art. 68 del DPR 287/1992 (40), comma 1, "salvo che sia intervenuto giudicato,
gli uffici dell'amministrazione finanziaria possono procedere all'annullamento,
totale o parziale, dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con
provvedimento motivato, comunicato al destinatario dell'atto".
La disposizione legislativa si presenta alquanto indeterminata.
Dall'analisi della norma si evince che durante il procedimento, la pubblica
amministrazione verifica l'esistenza di vizi ed in loro presenza può provvedere
alla rimozione totale o parziale dell'atto, nel perseguimento dell'interesse
pubblico.
Irrisolta rimane, però, la questione relativa alla natura del potere dell'ente
impositore, alle modalità del suo esercizio ed al ruolo del privato nell'ambito
del procedimento, in particolare nel caso di mancata impugnazione (e di
decadenza dal potere di azione giurisdizionale).
La disposizione dell'art. 68 del DPR n. 287/1992 è stata poi ripresa dall'art.
2-quater del DL n. 564/1994, convertito in legge n. 656/1994 (41).
Con quest'ultimo intervento, il legislatore ha risolto solamente in parte i
dubbi interpretativi sollevati dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Nulla ha
disposto, infatti, in ordine alle modalità di esercizio del potere di
autotutela, delegando al Ministro delle finanze l'indicazione degli
"organi dell'amministrazione finanziaria competenti" e dei
"criteri di economicità in base ai quali si inizia o si abbandona
l'attività dell'amministrazione".
Ha chiarito, invece, che l'esercizio del potere comporta, oltre
all'annullamento d'ufficio, "la revoca degli atti illegittimi o infondati,
anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità",
distinguendo nettamente il momento della definitività dell'atto amministrativo
dalla res judicata, che si realizza quando siano stati esperiti tutti i
mezzi di impugnazione contro l'atto medesimo.
Decorso il termine per l'impugnativa dell'atto impositivo, allora, ancorché
questo diventi definitivo, l'amministrazione finanziaria potrà annullarlo - in
tutto o in parte - d'ufficio, se risulti illegittimo o infondato (42).
Così, la disposizione ha escluso che la definitività esplichi un effetto
sanante dell'eventuale illegittimità dell'atto (43) ed ha ampliato l'esercizio del potere di autotutela al
momento in cui il contribuente non potrebbe più agire con ricorso dinanzi alla
Commissione tributaria.
Il Ministero delle finanze, con Circolare n. 450/1994 ha ritenuto, inoltre, che
sono suscettibili di annullamento tutti gli atti contro i quali è ammesso
ricorso alla Commissione tributaria. Ciò si desumerebbe dall'elencazione
contenuta nel comma 1 dell'art. 19 del DPR n. 546/1992 che li configura
espressamente alle lett. da a) a h) ammettendo la categoria residuale di cui
alla lett. i), comprensiva di ogni altro atto per il quale la legge preveda
l'autonoma impugnabilità.
Con la medesima Circolare, il Ministero ha poi chiarito il significato da
attribuire ai termini illegittimo ed infondato.
Il legislatore alluderebbe ai casi di duplicazione dell'obbligazione
tributaria, omonimia, iniziale mancanza di documentazione, successivamente
sanata (ove non sussista inammissibilità o non sia maturata decadenza), errore
logico o di calcolo e di aperto travisamento dei fatti posti a base del
provvedimento emanato (errore di fatto sulla valutazione della base imponibile
nell'applicazione dell'imposta di registro).
4.4. (Segue). La disciplina normativa: il regolamento per l'esercizio
del potere di autotutela. - Il Ministro della finanze, in attuazione della
delega conferitagli dal legislatore del 1994, ha predisposto il regolamento per
l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio, approvato con DM 11 febbraio
1997 n. 37 (44).
L'art. 1 di tale regolamento individua l'organo competente per l'esercizio del
potere di annullamento nell'"ufficio che ha emanato l'atto illegittimo o
che è competente per gli accertamenti d'ufficio ovvero... alla Direzione
regionale o compartimentale dalla quale l'ufficio stesso dipende".
La Direzione regionale o compartimentale interviene in via sostitutiva,
"in caso di grave inerzia".
La fase istruttoria e decisoria del procedimento di autotutela è regolata dagli
artt. 2, 7 e 8.
Ai sensi dell'art. 2, l'amministrazione finanziaria verifica l'esistenza di
vizi di legittimità (45) e
"può procedere, in tutto o in parte, all'annullamento d'ufficio, anche in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità", dando priorità alle
fattispecie di rilevante interesse generale ed in particolare a quelle per cui
sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso (46).
Il Ministro delle finanze non chiarisce, però, se l'autotutela sia un
potere-dovere (il cui esercizio è, pertanto, obbligatorio per l'amministrazione
finanziaria e vincolato ai presupposti di legge) ovvero un potere discrezionale
(che l'amministrazione può esercitare, in quanto lo richiedano esigenze di mera
opportunità nel perseguimento del solo interesse pubblico alla riscossione
delle Entrate).
Si limita a disporre (all'art. 8) i "criteri di economicità per l'inizio o
l'abbandono dell'attività amministrativa" - rinviando a successivi decreti
da emanarsi - e (artt. 7 e 5) i "criteri di economicità per l'inizio o
l'abbandono dell'attività contenziosa".
L'art. 7 precisa, infatti, che l'inizio o l'abbandono dell'attività contenziosa
deve essere valutato tenendo conto delle rilevazioni da parte degli uffici, sui
"motivi per cui più frequentemente i ricorsi avverso gli atti degli uffici
periferici e centrali sono accolti o respinti dalle Commissioni tributarie" (47), e della giurisprudenza
consolidata nella materia, sulla base delle direttive predisposte dalle
Direzioni dei Dipartimenti nonché "sulla base del criterio della
probabilità della soccombenza e della conseguente condanna ... al rimborso
delle spese di giudizio".
L'art. 5 attribuisce al contribuente la legittimazione a richiedere
l'annullamento degli atti di cui si contesti l'illegittimità.
Infine, l'art. 4 regola il particolare procedimento in cui si estrinseca l'esercizio
del potere di autotutela, "nel caso in cui l'importo dell'imposta,
sanzioni e accessori oggetto di annullamento o dell'agevolazione superi un
miliardo".
5. La natura del potere di autotutela dell'amministrazione
finanziaria. - Questione irrisolta dal recente intervento normativo rimane
quella relativa alla natura del potere di autotutela in ambito tributario.
Ci si chiede, cioè, se debba farsi riferimento ai principi generali che
governano l'agire della pubblica amministrazione per concludere che si tratti
di un potere discrezionale dell'amministrazione finanziaria ovvero se i
caratteri dell'azione amministrativa dell'ente impositore contraddistinguano
anche l'esercizio del potere di autotutela, che, pertanto, si prospetterebbe
più propriamente come un potere-dovere, vincolato alle disposizioni di legge.
In considerazione della stretta connessione che lega il potere di autotutela al
potere di amministrazione attiva (ancorché si tratti di due poteri
differenziati, funzionali al perseguimento di diversi interessi pubblici
primari) sembrerebbe doversi ritenere che entrambi i poteri partecipino della
medesima natura. Pertanto il potere di autotutela dell'ente impositore si
prospetterebbe più propriamente quale esercizio di un'attività vincolata alla
legge.
L'interesse al prelievo dei tributi in ragione dell'effettiva ricchezza
prodotta dal contribuente, nel rispetto delle regole tecnico-procedimentali
imposte dal legislatore costituirebbe, dunque, il vincolo legale per
l'esercizio non solo dell'attività impositiva, ma altresì dell'attività di
riesame.
La discrezionalità dell'amministrazione finanziaria sarebbe, allora, limitata
alla verifica tecnica dell'esistenza di vizi dell'atto, nonché della conformità
della fattispecie concreta alla previsione astratta della norma di legge.
In presenza di vizi dell'atto, pertanto, l'ente impositore deve ritenersi
obbligato al suo ritiro (ovvero alla sua convalidazione) e non potrà
discrezionalmente decidere per la sua conferma (48).
Tale conclusione appare pacifica con riferimento esclusivo al momento dinamico
dell'attività di riesame. Sarebbe, infatti, estraneo ad ogni logica giuridica
vincolare a rigidi parametri di legge l'adozione di un provvedimento
amministrativo e poi riconoscere che lo stesso possa essere (in seconda
istanza) riguardato, nonché modificato a discrezione dell'organo procedente.
L'aver messo in luce che la natura del potere impositivo connota di caratteri
peculiari altresì il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria
conduce a rilevanti considerazioni anche in ordine al momento statico, che
precede l'esercizio del potere stesso.
Non è chiaro, al riguardo, se, per il principio di legalità e di tassatività
dell'attività impositiva, debba attribuirsi all'ente delle Finanze un preciso
obbligo di riesame.
Le disposizioni legislative non risolvono la questione, disponendo soltanto che
l'esercizio del potere di annullamento si estrinseca in un procedimento ad
iniziativa d'ufficio ovvero ad istanza del privato (49).
Occorre, pertanto, fare riferimento alle diverse ipotesi in cui il potere di
autotutela si eserciti d'ufficio ovvero a seguito di un'espressa richiesta
avanzata dal contribuente.
Nel primo caso si registra un vuoto normativo, in quanto anche il regolamento
ministeriale non stabilisce i criteri di economicità sulla base dei quali si
inizia o si abbandona l'attività di autotutela.
Tale vuoto non sembra potersi colmare attraverso il ricorso ai principi
generali, per concludere che il potere di riesame si atteggi a facoltà
dell'ufficio, sulla base della mera opportunità.
Infatti, frequentemente l'amministrazione finanziaria utilizza, ai fini
impositivi, dati e notizie provenienti da altri organi e uffici della pubblica
amministrazione (si pensi all'utilizzazione ai fini tributari dei documenti
probatori acquisiti dalla Guardia di finanza nel corso delle indagini penali,
ovvero alla documentazione fornita dal Comune di domicilio fiscale del
contribuente che partecipa all'accertamento) (50).
In tali casi, se si riflette sulla natura del potere accertativo, che non è un
potere discrezionale, ma è un potere vincolato, ci si avvede che l'ente
impositore ha l'obbligo (non avendo spazi di discrezionalità) di agire per
conseguire il fine che la legge assegna ad esso (cioè un accertamento adeguato
alla capacità contributiva del soggetto passivo) e che uno degli strumenti per
il conseguimento del fine (obbligatorio) è quello del riesame dei nuovi
elementi acquisiti (direttamente o dall'esterno). Diversamente - se il riesame
costituisse una facoltà - anche il fine (di conseguire l'interesse pubblico
alla corretta tassazione) resterebbe mera previsione astratta.
Pertanto, laddove si pervenga a conoscenza di elementi di fatto nuovi acquisiti
da organi esterni o anche a seguito di una più solerte verifica interna, deve
ritenersi che l'ente impositore sia obbligato al riesame e perciò (ove
l'originario accertamento si dimostri inadeguato) all'annullamento dell'atto
illegittimo.
Inoltre, va osservato che il regolamento per l'esercizio del potere di
annullamento, laddove ha stabilito i criteri di economicità per l'inizio o
l'abbandono dell'attività contenziosa, ha disposto implicitamente anche un
principio direttivo in base al quale esercitare il potere di autotutela (51).
L'esigenza di evitare un danno (derivante dalla soccombenza in giudizio) - in
coerenza con il principio di economicità dell'azione amministrativa, di cui
alla legge n. 241/1990 - deve essere intesa, infatti, quale preciso obbligo
(non mera facoltà) dell'ente impositore, che dovrà dunque provvedere al riesame
dei propri atti ed eventualmente all'abbandono delle liti già iniziate.
Nel caso in cui si appalesi altamente probabile il rischio della soccombenza in
sede di giudizio e della conseguente condanna al rimborso delle spese, però,
l'amministrazione finanziaria ha da una parte il potere di abbandonare le liti,
dall'altra il dovere di non sacrificare il diritto del contribuente alla giusta
imposizione tributaria.
Dunque, laddove decida di non intraprendere (o proseguire) un'attività
contenziosa inutile alla stregua dei criteri di economicità e di probabilità
della soccombenza, l'amministrazione deve intendersi obbligata al ritiro ovvero
alla sanatoria dell'atto di cui riconosca l'illegittimità
A tale conclusione si perviene altresì ove si consideri che l'art. 1 del DM n.
53/1997 attribuisce alla Direzione regionale o compartimentale dalla quale
l'ufficio dipende un potere di intervento in via sostitutiva per il caso di
"grave inerzia".
Infatti, a fronte di un potere di intervento meramente discrezionale non
sarebbe possibile configurare alcuna inerzia, tale essendo solo l'omissione
colposa di un preciso obbligo giuridico di intervenire.
L'amministrazione finanziaria ha, dunque, un preciso obbligo di rivedere i
propri atti e di ripristinare l'equità fiscale e la correttezza della propria
azione, che discende dai principi costituzionali di legalità, buon andamento ed
imparzialità dell'azione amministrativa, ed esclude ogni discrezionalità (52).
La natura del potere di amministrazione attiva dell'ufficio impositore, nonché
i criteri direttivi espressi dalla legge n. 241/1990 (53) (ed in particolare l'esigenza di tutela
dell'affidamento del destinatario dei provvedimenti dell'amministrazione)
acquistano rilievo decisivo anche per l'analisi del caso in cui vi sia
un'espressa richiesta del privato a che l'amministrazione finanziaria eserciti
il potere di autotutela.
Al riguardo, occorre considerare la posizione giuridica del contribuente.
In presenza di un atto suscettibile di impugnativa giurisdizionale, il diritto
soggettivo ad un'imposizione fiscale rispettosa del principio di capacità
contributiva e la natura vincolata del potere impositivo (di cui il potere di
autotutela costituisce un continuum), autorizzano a ritenere che
l'amministrazione finanziaria sia obbligata a rivedere i propri atti, onde
evitare di ledere il contribuente-destinatario (54).
Qualora siano scaduti i termini di impugnazione dell'atto (di cui si contesti
la legittimità), del pari sembrerebbe sussistere un obbligo per l'ufficio delle
finanze di agire nel conseguimento dell'interesse pubblico ad una giusta
imposizione e perciò di esercitare l'autotutela in presenza di quegli elementi
resi noti dal contribuente per cui appaia dubbia la legittimità degli atti di
primo grado.
A tale considerazione si perviene ove si osservi che il regolamento per
l'esercizio del potere di annullamento attribuendo espressamente al
contribuente un ruolo d'impulso e di partecipazione nell'ambito del
procedimento di autotutela (in coerenza con i principi di trasparenza ed
efficacia dell'attività amministrativa, di cui alla legge n. 241/1990), gli
riconosce la titolarità dell'interesse legittimo al corretto esercizio dei
poteri dell'amministrazione finanziaria (55).
Tale ruolo partecipativo e collaborativo è, infatti, espressione di una
posizione giuridica differenziata e qualificata, che non solo limita
l'esercizio del potere dell'ente impositore nella fase decisoria del
procedimento di autotutela, ma determina un obbligo per lo stesso al
perseguimento dell'interesse (che è al contempo pubblico e privato) ad una
imposizione rispettosa del principio di capacità contributiva.
L'amministrazione finanziaria ha, dunque, sempre un preciso obbligo di
riesaminare i propri atti, in ragione dell'esigenza di ripristinare l'equità
fiscale e la correttezza della propria azione, che esclude ogni
discrezionalità, sia perché l'esercizio dell'attività amministrativa è
vincolata nel fine, precostituito dalla legge (che fissa i criteri per la
misura della giusta tassazione), sia perché deve essere retta dal principio di
imparzialità, onde evitare vistose differenziazioni tra fattispecie simili.
Dalle considerazioni precedenti, nonché dall'esame delle disposizioni di legge,
sembrerebbe doversi concludere, inoltre, che l'esercizio del potere di
autotutela si estrinseca in un procedimento, ad iniziativa d'ufficio o su
istanza di parte, che è sempre obbligatorio e vincolato, ed il cui presupposto
è la permanenza dell'attribuzione del potere di amministrazione attiva
dell'ente impositore (di cui però assume autonomo rilievo il momento
dell'accertamento), salvo il limite dell'intervenuto giudicato.
Ai sensi dell'art. 1 del regolamento per l'esercizio del potere di annullamento
d'ufficio la legittimazione compete allo stesso ufficio che ha adottato il
provvedimento di primo grado (o "in caso di grave inerzia" a quello
gerarchicamente superiore).
Durante la fase istruttoria e decisoria del procedimento, l'ufficio delle
finanze deve riesaminare i propri atti (solamente sotto il profilo della
legittimità formale, poiché si tratta di un potere vincolato, non
discrezionale) verificare l'esistenza di cause di illegittimità e qualora
rilevi l'esistenza di un vizio, ha l'obbligo di provvedere alla sua rimozione
ed eventualmente alla sostituzione con altro corretto ed adeguato alla capacità
contributiva del privato.
Il procedimento termina, quindi, con l'adozione di un provvedimento di secondo
grado, con cui la pubblica amministrazione risolve il conflitto potenziale o
attuale con il destinatario del proprio atto precedentemente adottato.
5.1. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria come
autotutela migliorativa per il contribuente. - Con l'art. 68 del DPR n.
287/1992 e l'art. 2-quater della legge n. 656/1994, il legislatore ,
attribuendo all'amministrazione finanziaria la potestà di riesame dei propri
atti e di adozione del provvedimento di secondo grado più idoneo alla
realizzazione dell'interesse pubblico alla giusta imposizione, ha riconosciuto
altresì il potere di integrare o modificare l'atto di primo grado,
indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi.
Il coordinamento delle norme sull'autotutela con quelle sul potere di
accertamento integrativo, mette in rilievo, in particolare, che, mentre per le
modifiche in aumento permane il termine di cui all'art. 43 del DPR n. 600/1973,
il potere di correzione in diminuzione può essere esercitato fino a quando non
sia intervenuto il giudicato (56).
Ci si avvede, perciò, che il legislatore ha ampliato l'ambito di esercizio del
potere senza limitarlo ad un'attività di autotutela non satisfattiva,
riconoscendo, al contrario, un'autotutela migliorativa per il contribuente.
A tale conclusione si giunge altresì ove si analizzino le disposizioni
legislative, alla luce dei criteri programmatici espressi dalla legge 7 agosto
1990 n. 241.
Con tale intervento normativo, infatti, il legislatore ha disposto una
disciplina generale dell'attività e del procedimento amministrativo, offrendo
precise garanzie di trasparenza, efficienza e qualità ai privati coinvolti nei
singoli procedimenti.
In ambito tributario, questi principi informatori dell'attività amministrativa,
sottendono una maggiore attenzione per la tutela del contribuente, in
considerazione altresì del particolare interesse pubblico perseguito
dall'amministrazione finanziaria.
L'ente impositore, non tende solo al conseguimento di un'entrata derivante
dalla realizzazione in concreto dell'obbligo di contribuzione alla spesa
pubblica, ma anche alla giusta imposizione tributaria, nel rispetto della
posizione giuridica del contribuente, ai sensi dell'art. 53 Cost.
Deriva da ciò che l'interesse pubblico non possa essere conseguito pienamente
senza avere contestualmente riguardo anche al contrapposto interesse privato.
Pertanto, anche nell'ambito dell'esercizio del potere di autotutela emerge
l'avvicinamento dell'interesse pubblico e dell'interesse privato, sicché non
può escludersi che l'attività dell'amministrazione finanziaria sia migliorativa
per il contribuente.
Trattandosi di una normativa favorevole al privato, gli artt. 68 del DPR n.
287/1992 e 2-quater della legge n. 656/1994 devono essere interpretati nel
senso per cui l'ufficio delle finanze è titolare di un potere di riesame e di
rinnovazione, ovvero integrazione non solo in aumento, ma anche in diminuzione
(indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi e senza
termini di decadenza, salvo l'intervenuto giudicato), il cui esercizio,
ricorrendo le condizioni che determinano l'illegittimità o l'infondatezza
dell'atto, si impone per corrispondere all'esigenza di correttezza e di
imparzialità dell'azione amministrativa(57).
Ed infatti il Ministero della finanze con diverse Circolari (58) ha chiarito che il legislatore
nell'intento di garantire la trasparenza, l'efficienza e l'economicità
dell'azione amministrativa ha attribuito agli uffici il potere di correggere i
propri atti viziati, in particolare quando ledano i diritti del cittadino e
sussista, pertanto, un interesse pubblico rafforzato a ripristinare la
correttezza e l'equità dell'azione amministrativa. Allo scopo di modificare la
configurazione dei rapporti tra fisco e cittadino-contribuente, ha, inoltre,
riconosciuto a quest'ultimo la tutela dei propri diritti e, in particolare, a
non essere leso nella propria sfera patrimoniale per effetto di provvedimenti
illegittimi, che impongano il pagamento di somme non dovute, anche qualora
l'illegittimità derivi da ragioni risalenti al momento dell'adozione dell'atto.
5.2. Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria nel
caso di definitività degli atti impositivi. - L'art. 68 del DPR n. 287/1992
dispone che il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria può essere
esercitato con un unico limite: il sopravvenuto giudicato.
In sede interpretativa ci si è chiesti se il legislatore con il termine
"giudicato" abbia voluto ricomprendere anche quello di
"definitività" dell'atto dell'amministrazione finanziaria.
La questione nasceva in sede di valutazione di opposte esigenze: quella alla
stabilità e certezza del rapporto giuridico-tributario definitivo (e perciò
l'immodificabilità degli effetti prodotti dagli atti definitivi d'imposizione),
ma pure quello per cui la pretesa tributaria deve essere conforme alla reale
attitudine contributiva del soggetto (59).
Il legislatore tributario, accogliendo l'orientamento della dottrina prevalente
e della stessa amministrazione finanziaria (60) (per cui i due concetti di giudicato e di definitività
dell'atto per decorso dei termini di impugnazione dovessero essere distinti),
ha, poi, chiarito, con l'art. 2-quater del DL n. 564/1994, convertito in legge
n. 656/1994, che decorso il termine per l'impugnativa dell'atto impositivo,
ancorché questo diventi definitivo, l'amministrazione finanziaria potrà
annullarlo d'ufficio, ove ne riconosca l'illegittimità o infondatezza.
Dubbia però rimane la questione circa l'interesse da privilegiarsi e cioè se
quello del privato al ripristino di una tassazione conforme al principio di
capacità contributiva, oppure quello pubblico alla stabilità e certezza del
rapporto giuridico tributario (e perciò al mantenimento della posizione di
vantaggio acquisita dall'amministrazione finanziaria (61)).
Ci si domanda, in particolare, se anche in presenza di un atto divenuto
definitivo permanga l'obbligo per l'ente impositore di rivedere i propri atti e
di procedere alla loro correzione e quali siano i termini entro cui sia tenuto
ad esercitare siffatto potere.
Al riguardo, occorre nuovamente considerare la stretta relazione intercorrente
tra il potere di riesame ed il potere di amministrazione attiva, nonché la
natura del provvedimento di secondo grado adottato dall'amministrazione
finanziaria.
Poiché il potere di autotutela comporta la revisione di atti precedentemente
adottati, deve ritenersi che il limite per il suo esercizio sia la permanenza
del potere di amministrazione attiva in capo all'ente impositore (62).
Pertanto, l'ente delle finanze dovrà procedere alla revisione dei propri atti
(e sarà sempre obbligato in presenza dei presupposti per l'esercizio del potere
di autotutela d'ufficio ovvero a richiesta del contribuente) fino a quando sia
titolare del potere impositivo.
Occorre però distinguere le diverse ipotesi in cui l'ufficio delle finanze
intenda procedere ad una integrazione in aumento ovvero in diminuzione.
Nel primo caso, il legislatore ha espressamente imposto un termine per
l'accertamento integrativo (art. 43 del DPR n. 600/1973 (63)), che deve intendersi quale limite altresì
all'esercizio del potere di autotutela.
Qualora, invece, l'amministrazione finanziaria intenda procedere alla
correzione dei propri atti, in diminuzione, unico limite imposto sembra essere
l'intervenuto il giudicato.
In considerazione, però, del principio per cui l'annullamento di un atto non
può spingersi fino all'eliminazione di situazioni irrevocabili ed esauritesi
nel tempo ( factum infectum fieri nequit), sembra più consono aderire
alla posizione interpretativa per cui quando sia trascorso un periodo di tempo
adeguatamente lungo, durante il quale l'atto abbia esplicato i propri effetti
senza alcuna contestazione, non può non ritenersi prevalente l'interesse alla
certezza e alla stabilità delle situazioni giuridiche, e non sarà più possibile
procedere al riesame(64).
6. La tutela del contribuente. - La nuova disciplina legislativa
non affronta il problema della tutela del contribuente destinatario di un atto
di cui contesti la legittimità, e per il quale l'amministrazione finanziaria
non eserciti l'autotutela, oppure l'eserciti erroneamente (65).
Al riguardo occorre innanzitutto considerare che il contribuente può far valere
in giudizio il proprio diritto soggettivo ad una giusta tassazione entro i
termini (60 gg.) di legge, decorrenti dalla notifica dell'atto. Il mancato
esercizio del diritto, però, non dovrebbe comportare anche decadenza dalla
tutela dell'interesse legittimo al corretto esercizio del potere di autotutela
da parte dell'amministrazione finanziaria (66).
D'altra parte, riconoscere la potestà di autotutela anche quando ormai sono
scaduti i termini di impugnazione dell'atto di imposizione, e negare una
posizione giuridicamente tutelata al contribuente (67), non sembrerebbe in linea con i principi di cui agli
artt. 24 e 113 Cost., né in armonia con il ruolo partecipativo e collaborativo
riconosciuto al contribuente nell'ambito del procedimento (68) disciplinato dal regolamento ministeriale per
l'esercizio del potere di annullamento, per cui l'amministrazione finanziaria
deve ritenersi obbligata, in tali casi, al riesame dei propri atti ed
all'adozione del provvedimento di secondo grado più idoneo al perseguimento del
fine pubblico al corretto prelievo tributario, proprio a tutela dell'interesse
privato leso.
Si può, perciò, concludere che al contribuente si deve riconoscere, oltre alla
tutela (entro i termini di legge) del diritto soggettivo alla giusta
imposizione, anche la tutela dell'interesse legittimo al corretto esercizio del
potere di riesame da parte dell'erario.
Occorre, pertanto, verificare quali siano gli strumenti di tutela del
contribuente in relazione alle diverse posizioni giuridiche che egli possa fare
valere.
Anticipando le conclusioni cui si giungerà, si osserva che al contribuente
viene riconosciuto un ruolo d'impulso e di collaborazione nel procedimento di
riesame e perciò una posizione giuridica differenziata, che trova uno spazio di
tutela più ampio: oltre i termini per l'impugnativa dell'atto innanzi ai
giudici tributari.
Trascorsi i termini di definitività dell'atto, la tutela si estende innanzi
agli organi di giurisdizione amministrativa avverso il silenzio degli organi
dell'amministrazione finanziaria ovvero nei casi di erroneo esercizio del
potere di autotutela per violazione di legge, salva, in ogni caso l'eventuale
azione giurisdizionale di fronte al giudice ordinario, per i danni subiti.
6.1. La tutela del contribuente nel caso di mancato esercizio del
potere di autotutela: la tutela del diritto soggettivo ad una tassazione
adeguata al principio di capacità contributiva. - Qualora il contribuente,
titolare del diritto soggettivo a non subire un sacrificio eccessivo rispetto
alla reale consistenza del fatto imponibile rivelatore di attitudine
contributiva, ritenga più opportuno procedere ad una richiesta di riesame in
autotutela (anziché adire gli organi della giurisdizione tributaria),
l'amministrazione finanziaria non potrà esimersi dal provvedervi.
Il legislatore, infatti, nel prevedere con l'art. 2 della legge n. 241/1990 il
dovere dell'amministrazione di concludere mediante l'adozione di un
"provvedimento espresso" tutti i procedimenti, riconosce il
cittadino-contribuente titolare di una posizione giuridica differenziata in
ordine alla conclusione del procedimento (69).
Si pone, pertanto, il problema della tutela del contribuente qualora l'erario
resti silente sulla domanda di riesame finalizzato all'annullamento dell'atto
di cui si contesti la legittimità.
La materia del silenzio della pubblica amministrazione in ordine al compimento
di atti dovuti, prima della legge n. 241/1990, era ricondotta alla disciplina
dell'art. 25 del testo unico degli impiegati civili dello Stato.
Il Consiglio di Stato (70),
sulla questione, aveva ritenuto che venuto meno, per effetto del DPR 24
novembre 1971 n. 1199, il regime del silenzio-rifiuto, così come regolato
dall'art. 5 del testo unico 3 marzo 1934 n. 383, in difetto di altra norma
idonea, l'inerzia della pubblica amministrazione, trovasse disciplina nell'art.
25 testo unico 10 gennaio 1957 n. 3 (che non regolerebbe, perciò,
esclusivamente il rapporto d'impiego, ma altresì quello d'ufficio od organico,
in vista degli atti ed operazioni imposti all'ente o all'ufficio competente).
Secondo alcuni, tale normativa sarebbe tuttora applicabile, perciò il silenzio
dell'amministrazione finanziaria avrebbe valore di rifiuto a provvedere quando,
trascorsi 60 giorni dall'istanza del contribuente, ed a seguito di
notificazione di un atto di messa in mora, questa abbia persistito per oltre 30
giorni nella sua inerzia.
Con la legge n. 241/1990, il legislatore ha, però, introdotto, una disciplina
di formazione del silenzio-rifiuto più snella, basata sul mero decorso del
termine di 30 giorni dall'inizio d'ufficio del procedimento ovvero dal
ricevimento della domanda dell'interessato.
Non è chiaro se il legislatore abbia inteso attribuire a tale termine valore
perentorio od ordinatorio.
L'orientamento prevalente è per la natura perentoria del termine (71), per cui, ai sensi dell'art. 2
della suddetta legge, ove l'amministrazione finanziaria non eserciti l'attività
di riesame entro 30 giorni dalla richiesta del contribuente, il comportamento
sarebbe ope legis rilevante quale rifiuto a provvedere.
In tal caso, nella pratica del diritto, il problema della tutela del
contribuente è di fatto risolto in radice dalla permanenza del diritto di
impugnativa del provvedimento di primo grado, innanzi agli organi della
giurisdizione tributaria.
Il contribuente potrà, perciò, far valere dinanzi alle Commissioni tributarie
il proprio diritto soggettivo ad una giusta imposizione fiscale.
In linea teorica, però, sembrerebbe potersi prospettare la possibilità di adire
gli organi della giurisdizione amministrativa (Tar e Consiglio di Stato)
impugnando il silenzio-rifiuto dell'ente delle finanze, che potrà essere
condannato a provvedere (e perciò a riesaminare il provvedimento) secondo i
principi generali espressi dalla legge n. 1034/1971 (72).
Sembra, infatti, doversi escludere che le Commissioni tributarie siano titolari
di siffatto potere, in quanto il DPR n. 546/1992, che ha riformato la materia
del contenzioso tributario, ha individuato un elenco tassativo di provvedimenti
impugnabili (73).
A seguito della decisione di condanna da parte degli organi della giurisdizione
tributaria o amministrativa, il contribuente potrà, quindi, agire dinanzi al
giudice ordinario, per il risarcimento del danno che gli sia derivato proprio
dall'inerzia e dal ritardo.
Siffatta tutela discende dai principi di buona amministrazione espressi dalla
legge n. 241/1990 (74) ed in
particolare dalla legge n. 59 del 15 marzo 1997 (cd. legge Bassanini), che
all'art. 20, comma 5, lett. h) ha posto il criterio direttivo cui dovranno
conformarsi i successivi regolamenti ministeriali, per cui "per i casi di
mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione
del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e
delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione," è previsto l'obbligo
di "indennizzo automatico e forfetario a favore dei soggetti richiedenti
il provvedimento...".
La previsione della legge n. 59/1997 lascia affiorare il problema della natura
di quest'obbligo reintegratorio dello stato patrimoniale del cittadino leso dal
ritardo ovvero dall'inadempimento della pubblica amministrazione; conferma
comunque l'orientamento interpretativo per cui la pubblica amministrazione è
obbligata ad una misura compensativa del danno sofferto.
Di recente, poi, il Ministero delle finanze(75) ha riconosciuto il diritto del contribuente ad essere
ristorato di tutti gli oneri sostenuti in relazione ad un pagamento non dovuto,
implicitamente affermando che spetta al contribuente il risarcimento integrale
di quanto patito e, perciò, non solo il rimborso di quanto corrisposto in
eccedenza (76) e le spese di
lite - in esecuzione della sentenza delle Commissioni tributarie, - ma anche
gli interessi corrisposti ai sensi dell'art. 21 comma 1 del DPR n. 602/1973 e
(ove ve ne fossero) la corresponsione di una misura idonea a compensare le
sofferenze conseguenti (mancato guadagno ovvero occasioni perdute) di cui si
dia la prova innanzi al giudice ordinario (77).
La responsabilità degli enti pubblici per l'operato dei loro funzionari e
dipendenti è espressamente prevista dalla Costituzione (art. 28).
Da tempo la giurisprudenza ha poi riconosciuto che la pubblica amministrazione
è responsabile per i danni conseguenti al rifiuto illegittimo di atti dovuti,
che si traduca nella lesione di un diritto soggettivo del destinatario, con un
unico limite: il previo accertamento dell'illegittimità dell'atto in sede
giurisdizionale o giustiziale (78).
6.2. (Segue). La tutela dell'interesse legittimo del contribuente
all'esercizio del potere di autotutela. - Come si è anticipato (79), il contribuente, ancorché
siano trascorsi i termini di impugnazione dell'atto impositivo, rimane pur
sempre titolare dell'interesse legittimo al corretto esercizio del potere da
parte dell'amministrazione finanziaria.
Negargli la tutela di quell'interesse, varrebbe consentire la violazione del
principio costituzionale stabilito dall'art. 24 Cost.
Quindi, qualora l'erario non si pronunci in merito ad un'istanza, con cui il
contribuente dia la prova dell'esistenza di fatti per i quali l'atto impositivo
deve ritenersi viziato (e per cui vi è l'obbligo di esercitare il potere di
autotutela) deve ritenersi possibile il ricorso in sede amministrativa al
dirigente generale dell'unità responsabile del procedimento. Così dispone il DM
11 febbraio 1997 n. 97 all'art. 1.
A fronte del protrarsi dell'inerzia poi, il contribuente potrà trovare tutela
in sede giurisdizionale ricorrendo al giudice amministrativo.
Questi, per accertare l'esistenza dell'obbligo di provvedere da parte
dell'erario (e, quindi, ai fini della verifica della sua inosservanza), dovrà
valutare in via incidentale anche la fondatezza della domanda.
Il Consiglio di Stato (80) ha,
infatti, ritenuto che, in tali casi, oggetto del giudizio non è il silenzio, ma
la fondatezza della pretesa, per cui in presenza di atti vincolati, il giudice
amministrativo può andare oltre il mero accertamento dell'illegittimità del
silenzio-rifiuto e pronunciarsi ( incidenter tantum) anche sulla domanda
avanzata alla pubblica amministrazione.
L'ente impositore, quindi, sarà condannato a riesaminare il provvedimento di
primo grado ed a pronunciarsi con atto motivato di conferma o annullamento
(totale o parziale).
Si prospetta, però, la questione relativa ai termini di impugnativa del
silenzio.
Al riguardo, sembra doversi riconoscere fondatezza all'orientamento della
giurisprudenza più recente per cui il privato può adire il giudice
amministrativo fino a quando persista l'inadempimento della pubblica
amministrazione, in virtù del fatto che in capo a questa continua a sussistere
il potere-dovere di pronunciarsi (81).
Dubbia è invece la possibilità di azione di risarcimento dei danni prodotti
dall'erario al contribuente che abbia fatto affidamento sulla richiesta di
riesame rimasta inascoltata.
La questione relativa alla risarcibilità dei danni derivanti da lesione di
interessi legittimi è lungamente dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza (82).
L'orientamento tradizionale tende a negare il risarcimento del danno
conseguente ad un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione poi
annullato dal giudice amministrativo(83) . Si ritiene infatti che oggetto della lesione non sia un interesse
sostanziale del danneggiato, bensì solo un interesse strumentale al corretto
operare dell'amministrazione stessa (84) , per cui il privato troverebbe soddisfazione con il solo ripristino della
legalità dell'azione amministrativa, cioè con l'annullamento dell'atto
impugnato.
Di recente, però, facendo perno sulla rivisitazione dottrinale della nozione di
interesse legittimo, come interesse ad un bene della vita, nonché sulla nuova
legislazione nazionale e comunitaria (85) , anche la più recente giurisprudenza è giunta a riconoscere la
risarcibilità degli interessi legittimi (86) .
Seguendo l'impostazione della dottrina più recente, per cui l'interesse
legittimo è una situazione soggettiva attiva di natura sostanziale, che
preesiste alla sua eventuale lesione da parte della pubblica amministrazione e
che è protetta in via immediata e diretta dall'ordinamento giuridico, si è
osservato che l'annullamento dell'atto illegittimo può non essere sufficiente a
tutelare il privato. Si è giunti perciò, a riconoscere il diritto al risarcimento,
come diritto soggettivo autonomo rispetto alla situazione soggettiva violata,
che sorge col perfezionarsi di una fattispecie complessa di cui la lesione
dell'interesse legittimo è solo un elemento costitutivo (assieme all'elemento
psichico ed al nesso eziologico).
L'azione diretta ad ottenere il risarcimento dei danni, però, potrebbe essere
proposta solo dopo l'annullamento dell'atto amministrativo illegittimo da parte
del giudice amministrativo, poiché diversamente il giudice ordinario avrebbe un
potere di accertamento dell'esistenza di vizi dell'atto di natura principale (e
non incidenter tantum), stravolgendo i criteri di riparto
giurisdizionale.
Seguendo le conclusioni a cui è pervenuta la più recente dottrina, ed in
considerazione del fatto che il legislatore con la legge n. 59/1997 (cd.
Bassanini) sembra essersi posto in posizione garantista dell'aspettativa del
cittadino a che il procedimento amministrativo si chiuda alla scadenza del
termine di legge(87) , sembra,
dunque, potersi prospettare, anche in ambito tributario, una tutela
dell'interesse legittimo del contribuente, che dimostri di avere subito un
danno dal mancato esercizio del potere di autotutela.
6.3. La tutela del contribuente nel caso di erroneo esercizio del
potere di autotutela. - La pubblica amministrazione, anche quando agisce
nell'esercizio dei suoi poteri tecnico-discrezionali, è tenuta ad osservare non
solo le norme di legge ed i regolamenti, ma anche i criteri di diligenza e
prudenza imposti dal precetto del neminem ledere.
In ambito tributario, si è osservato che allorché l'amministrazione finanziaria
- violando la legge - leda un diritto soggettivo del contribuente, non possa
negarsi il diritto al risarcimento dei danni provocati dalla condotta colposa,
ma solo dopo la decisione di annullamento dell'atto illegittimo da parte della
Commissione tributaria (88) .
Con riferimento al momento di esercizio del potere di autotutela (89) , dunque, la questione
relativa alla risarcibilità dei danni derivanti dall'errore dell'ente
impositore è strettamente connessa al problema della possibilità di impugnativa
del provvedimento adottato in sede di riesame.
Al riguardo, occorre differenziare il caso in cui l'amministrazione finanziaria
modifichi il contenuto sostanziale del proprio atto, adottando un nuovo
provvedimento che non incida su quello precedente, dal caso in cui conservi il
proprio atto, confermandone l'efficacia.
Nel primo caso, poiché l'ente impositore esercita ex novo i propri
poteri, andando a rinnovare il precedente con un nuovo provvedimento che
rientra nell'elenco tassativo di cui all'art. 19 del DPR n. 546/1992, sembra
prospettarsi la possibilità di adire gli organi della giustizia tributaria con
l'impugnativa del nuovo atto impositivo.
A seguito di una pronuncia di annullamento delle Commissioni tributarie, poi,
il contribuente potrà adire il giudice ordinario per una pronuncia
reintegrativa dei danni patiti.
Il problema della risarcibilità dei danni derivanti dall'errore dell'ente
impositore, però, pone l'ulteriore questione relativa all'imputazione
psicologica del fatto al suo autore a tenore dell'art. 2043 c.c.
Il giudice di merito, infatti, se in linea teorica non trova ostacoli ad
un'indagine tecnica incidenter tantum volta alla verifica
dell'illegittimo esercizio del potere di autotutela per violazione di legge, in
concreto deve operare il difficile accertamento dell'elemento psicologico,
della colpa del funzionario.
L' impasse è stata superata da quella parte della dottrina e della
giurisprudenza che, con riferimento all'esercizio di poteri obbligatori e
vincolati, ha ritenuto la colpa "in re ipsa", poiché la
responsabilità dell'amministrazione sarebbe di per sé ravvisabile nella
violazione di legge (90) .
Nel caso in cui l'amministrazione finanziaria non modifichi il contenuto del
proprio atto e attraverso un nuovo documento formale ne conservi la sostanza e
ne confermi l'efficacia, deve ritenersi che unico strumento di tutela del
contribuente sia l'azione dinanzi al giudice amministrativo.
Un sia pur limitato sindacato del giudice amministrativo, circa l'osservanza
dei limiti imposti alla pubblica amministrazione nell'esercizio dell'attività
tecnica, è consentito, infatti, dagli strumenti dell'eccesso di potere (per
carenza di motivazione) e della violazione di legge.
Il giudice amministrativo dovrà valutare, pertanto, se l'amministrazione
finanziaria sia incorsa in un vizio di legittimità concretatesi nella
deviazione del proprio giudizio rispetto ai binari della coerenza logica,
ovvero nel vizio di violazione di legge.
Dovrà, perciò, verificare che l'autorità amministrativa, nello svolgimento
delle valutazioni ed operazioni tecniche, si sia attenuta ai vincoli legali
ottemperando all'obbligo di motivazione e se, pertanto, non fosse illegittimo
il rifiuto al ritiro ovvero alla convalescenza del provvedimento di primo
grado.
La questione, poi, della possibilità di esperire l'azione dinanzi al giudice
ordinario per il risarcimento dei danni prodotti dall'erario al contribuente
che abbia fatto affidamento sull'attività di riesame da questa erroneamente
esercitata, si pone nei medesimi termini di quella già esaminata sulla
risarcibilità degli interessi legittimi.
7. Conclusioni. - Un'analisi delle disposizioni normative in
materia di autotutela tributaria, che tenga conto dei fondamenti costituzionali
di buona amministrazione finalizzata alla giusta imposizione fiscale e dei
criteri programmatici espressi dalla legge n. 241/1990 e dalle norme che
caratterizzano l'azione dell'ente impositore, conduce in primo luogo a negare
il principio generale per cui si tratterebbe di un'attività discrezionale.
Il potere di autotutela è, infatti, un dovere dell'amministrazione finanziaria,
che qualora si prospetti l'esigenza di tutelare l'interesse pubblico concreto
ed attuale alla corretta tassazione (ed in particolare perciò, a seguito di
istanza del contribuente che lamenti l'illegittimità del provvedimento
impositivo) ha un preciso obbligo di procedere al riesame dei propri atti ed
all'adozione di un provvedimento motivato di conferma, sanatoria o
annullamento.
Quando il legislatore enuncia che l'amministrazione finanziaria "può
procedere, in tutto o in parte, all'annullamento" (91) non può volersi riferire al momento dell'avvio del
procedimento, bensì alla fase istruttoria del riesame, che può culminare con un
provvedimento di ritiro, convalidazione o conservazione in ragione
dell'interesse pubblico ad una tassazione conforme alla capacità economica del
cittadino.
In considerazione della stretta connessione che lega il potere di autotutela al
potere di amministrazione attiva entrambi i poteri partecipano, infatti, della
medesima natura.
Pertanto, il potere di autotutela dell'ente impositore si prospetterebbe più
propriamente quale esercizio di un'attività di controllo, vincolata alla legge;
l'interesse al prelievo dei tributi in ragione dell'effettiva ricchezza
prodotta dal contribuente, nel rispetto delle regole tecnico-procedimentali
imposte dal legislatore costituisce il vincolo legale per l'esercizio non solo
dell'attività impositiva, ma altresì dell'attività di riesame.
Il potere di autotutela tributaria si esplica, dunque, sulla base delle
medesime norme vincolanti che regolano l'attività accertativa, quindi è esclusa
ogni discrezionalità dell'amministrazione finanziaria o, al più, è limitata
alla verifica tecnica dell'esistenza di vizi dell'atto, nonché della conformità
della fattispecie concreta alla previsione astratta della norma di legge.
Una volta riconosciuto che un atto sia illegittimo o infondato, pertanto,
l'amministrazione finanziaria deve ritenersi obbligata al ritiro dell'atto
precedentemente adottato (ovvero alla convalidazione) e non potrà
discrezionalmente decidere per la sua conferma.
Si tratta, dunque, di un potere a favore del contribuente, che può essere
esercitato fino al sopravvenuto giudicato delle Commissioni tributarie, salvo
il limite della permanenza del potere di amministrazione attiva.
Il contribuente è perciò sempre più tutelato: gli viene riconosciuto un ruolo
d'impulso e di collaborazione nel procedimento di riesame e perciò una
posizione giuridica differenziata, che trova uno spazio di tutela più ampio;
oltre i termini per l'impugnativa dell'atto innanzi ai giudici tributari, gli è
consentito adire gli organi di giurisdizione amministrativa avverso il silenzio
del funzionario delle finanze che ometta di pronunciarsi con un provvedimento
espresso sulla domanda di riesame; qualora, poi, il potere di autotutela venga
esercitato erroneamente, gli si riconosce la possibilità di adire il giudice
amministrativo perché annulli il provvedimento illegittimo per violazione di
legge e condanni l'amministrazione finanziaria ad un nuovo esame del
provvedimento di primo grado.
Resta in ogni caso salva l'eventuale azione giurisdizionale di fronte al
giudice ordinario, nel caso in cui egli dimostri di aver subito un danno dal
mancato (o erroneo) esercizio del potere di autotutela e chieda pertanto il
relativo risarcimento.
(1) Da ultimo vedi: Cass., SS.UU.,
4 ottobre 1996, sent. n. 8685, in Boll. trib., 1997, n. 7, 558 ss. e Cass.,
sez. I, 11 novembre 1998, sent. n. 11364, in Boll. trib., 1999, n. 9, 749 ss.
(2) Nello stesso senso, vedi: Benvenuti, voceAutotutela - dir. amm., in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 544 ss.
"L'autotutela è sempre in funzione dell'interesse dell'amministrazione e a
questa spetta di valutare, caso per caso, e quindi con valutazione ampiamente
discrezionale, la prevalenza dell'interesse particolare soddisfatto dall'atto
invalido, quella dell'interesse particolare che sarebbe soddisfatto dall'atto
di autotutela o quella dell'interesse generale alla rimozione del conflitto
potenziale".
(3) Per un approfondimento in
dottrina, si veda: Benvenuti, Appunti di diritto
amministrativo, Parte generale, V ed., Padova, 1987, 145 ss. nonché Galli, Corso di diritto amministrativo,Padova, 1995, 721; Virga, Diritto
amministrativo - atti e ricorsi, II, Milano, 133 ss.; Cannada
Bartoli, Annullabilità ed annullamento, in Enc. dir., II, Milano,
487 ss.; M.S. Giannini, Diritto amministrativo, Milano,
1988, 1008 ss.; Verde, Rimozione degli atti amministrativi ed
effettività della tutela, in Riv. dir. proc., 1984, 42; Gherghi, I limiti dell'annullamento d'ufficio: necessità di un correttivo, in
Nuova rass., 1993, II, 437 ss., Juso, Retroattività
dell'annullamento ed effettività della tutela, in Riv. amm., R.I., 1992,
II, 1591 ss.; Pioggia, Alcune osservazioni in merito
all'esercizio del potere di annullamento d'ufficio (nota a sent. Tar Umbria 11
maggio 1994 n. 138),in Rass. Giur. umbra, 1995, III, 217 ss., Annunziata, Autotutela della pubblica amministrazione e suoi limiti (nota a sent.
Cons. St., sez. V, 22 novembre 1993 n. 1164), in Giust. civ., 1995, I, 307
ss.; Ancora, Alcune puntualizzazioni sulla autotutela della
pubblica amministrazione, in Giur. mer., 1992, 1016 ss.
Quanto alla giurisprudenza, si veda Tar Lombardia, sez. Brescia, 2 ottobre 1991
n. 678, in Tar, 1991, I, 503; Tar Lazio, sez. III, 14 febbraio 1983, n. 121, in
Tar, 1983, I, 824; Cons. Stato, sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 784, in Foro amm.,
1995, 2158; Cons. St., sez. I , 23 ottobre 1981, n. 384, in Cons. Stato, 1983,
I, 452; Cass., SS.UU. civ., 18 ottobre 1984, n. 5247, in Giust. civ., 1985, I,
367; Cons. St., 29 ottobre 1976, n. 1320 in Cons. Stato, 1976, I, 1058; Cass.,
sez. lav., 21 febbraio 1978, n. 855, in Prev. soc., 1978, 1135; Cons. St., sez.
VI, 28 agosto 1995, n. 823, in Foro amm., 1995, 1602.
(4) Si veda, infatti, il titolo IV
del DPR n. 600/1973, che è rubricato "accertamenti e controlli" e
agli artt. 31 ss. individua in dettaglio i limiti legali all'esercizio del
potere dell'amministrazione finanziaria.
(5) Vedi la Direttiva 6 giugno 1994
n. 450, della Dir. Reg. Entrate per il Lazio, in Fisco, 1994, n. 25, 6185 ss.
(6) Vedi la Direttiva 29 marzo 1994
n. 10932, della Dir. Reg. delle Entrate per l'Emilia Romagna, in Boll. trib.,
1994, n. 11, 850 ss.; e nello stesso senso la Circ. Dir. Entrate per la
Provincia autonoma di Trento - servizio I - Divisione I, n. 9282 del 12 marzo
1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate - Ufficio del Direttore Generale, n.
195/E/4762/UDC dell'8 luglio 1997, in Fisco, 1997, n. 30, 8578 ss., nonché in
Boll. trib., 1997, n. 17, 1295 ss.
(7) Vedi DM 11 febbraio 1997 n. 37,
in G.U. n. 53 del 5 marzo 1997, in Boll. trib., n. 5, 1997, 386 ss. Per
un'analisi delle disposizioni normative in esso contenute vedi oltre § 4.4.
(Segue) La disciplina normativa: il regolamento per l'esercizio del potere di
autotutela, 16.
Nel medesimo senso si veda, inoltre, la Circ. 5 agosto 1998 n.
198/S/2822/98/GCF/as, in Fisco, 1998, n. 31, 10381 ss.
(8) Con la legge 7 agosto 1990 n.
241 il legislatore ha affermato i principi di trasparenza, efficienza, ed
economicità dell'azione amministrativa e, soprattutto, il principio del
contraddittorio con i destinatari diretti dei provvedimenti amministrativi.
(Vedi artt. 1, comma 1, 7 e 22, comma 1, della legge n. 241/1990). Ha, quindi,
prospettato l'esigenza di tutela dell'affidamento del privato anche nell'ambito
del diritto pubblico, riconoscendo il bisogno di assicurare che le aspettative
del privato siano curate in relazione ai fini pubblici da perseguire, e che le
scelte discrezionali della pubblica amministrazione, siano valutate ponderando
l'interesse pubblico, in cui trova spazio la fiducia del beneficiario, con
l'interesse privato all'annullamento dell'atto. Momento di emersione dei
suddetti principi programmatici, è, altres, quello in cui si esercita il potere
di autotutela della pubblica amministrazione, nella fase del riesame
comparativo dell'interesse pubblico con l'interesse del destinatario dell'atto
che possa avere riposto un fondato affidamento sull'atto precedentemente adottato.
Poiché il potere di autotutela della pubblica amministrazione è discrezionale,
la scoperta dell'illegittimità dell'atto (di norma) non obbliga alla sua
eliminazione, quanto piuttosto solamente ad un'ulteriore verifica, ad un
riesame ponderato dell'interesse pubblico e privato ad esso sottesi. Il ruolo
partecipativo e collaborativo del privato nell'ambito del procedimento non gli
attribuisce, quindi, una posizione giuridica differenziata e qualificata, ma
costituisce solo un limite all'esercizio del potere della pubblica
amministrazione, che - nell'ambito delle proprie valutazioni - dovrà avere
riguardo non più solamente al perseguimento del fine pubblico, ma altres
all'affidamento del destinatario dell'atto. Si constaterà di seguito che tali
principi, ancorché pacifichi ove siano riferiti genericamente all'azione
amministrativa, trovano una deroga nell'ambito dello speciale rapporto tra
contribuente e fisco. (vedi oltre § 5.1., Il potere di autotutela
dell'amministraizone finanziaria come autotutela migliorativa per il
contribuente, 21, nonché § 6. La tutela del contribuente, 24). In materia
tributaria, infatti, ancorché il legislatore all'art. 13 della legge n.
241/1990 abbia escluso il diritto di partecipazione al procedimento
amministrativo, non è mancato chi ha sostenuto che il contribuente deve essere
tutelato qualora abbia fatto affidamento sul corretto esercizio dei poteri
dell'amministrazione finanziaria riconoscendogli la titolarità di un interesse
legittimo che può essere fatto valere dinanzi al giudice amministrativo, non
solo in presenza di evidente illegittimità dell'azione e dunque per violazione
di legge, ma anche quando si verifichino situazioni di eccesso di potere (ciò
in considerazione del fatto che l'ente impositore avrebbe comunque limitati
spazi di discrezionalità). Al riguardo, vedi Maria Teresa Moscatelli, Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, in Rass. trib., 1997, n. 5, 1107 ss.
Per un'analisi più dettagliata sugli strumenti di tutela del contribuente e
sulla posizione soggettiva che gli compete, vedi oltre, § 4.2., La posizione
giuridica del contribuente, 13 nonché § 6. La tutela del contribuente, 24.
Per un approfondimento sull'influenza della legge n. 241/1990 nel procedimento
tributario, vedi § 4.1. La legge n. 241/1990, 12.
(9) In questo senso vedi G.
Melis, Interpretazione autentica, retroattività e affidamento del
contribuente: brevi riflessioni su talune recenti pronunzie della Corte
costituzionale - Principio di capacità contributiva e tutela dell'affidamento, in Rass. trib., 1997, n. 4, 864 ss.
(10) Sull'autotutela della pubblica
amministrazione vedi Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova,
1995, 721 ss.
(11) Va precisato che diversa è
l'impostazione di parte della dottrina, di stampo negoziale, per cui, non
distinguendo tra autarchia ed autotutela, quest'ultima andrebbe riconnessa ad
una categoria generale di atti cd. di ritiro, adottati in base ad un riesame
effettuato nell'esercizio "di un potere di amministrazione attiva e
precisamente di quello stesso potere che è stato esercitato nell'emanare l'atto
da ritirare". (Cfr. Virga, Diritto amministrativo, Atti e
Ricorsi, Milano, 1995, 134 ss.).
Tale impostazione non considera che il potere di riesame degli atti e
l'eventuale, loro riforma, annullamento o rettifica, non è volto alla tutela di
quello stesso interesse pubblico alla cui cura è precipuamente finalizzato il
potere di amministrazione attiva, bens è posto in funzione dell'interesse
generale che l'amministrazione ha in ordine ad un corretto ed ordinato
svolgimento delle proprie attribuzioni.
Le due diverse impostazioni teoriche non sono prive di riflessi nella pratica
del diritto. Ove si accolga favorevolmente la ricostruzione di stampo
negoziale, per cui la funzione di riesame sarebbe espressione di quello stesso
potere esercitato nell'adozione dell'atto da ritirare, dovrebbe, infatti,
ritenersi non più esercitabile l'autotutela al decadere dal potere di
amministrazione attiva.
Differenziare, invece, i due diversi poteri di autotutela e di autarchia,
conduce a riconoscere legittimo l'esercizio del potere di riesame ancorché vi
sia carenza del potere di amministrazione attiva (per esempio per decadenza dal
termine entro cui poteva essere esercitato legittimamente il potere, ovvero per
devoluzioneex lege della competenza ad altro organo amministrativo,
ovvero per la totale abrogazione ex lege delle attribuzioni in una
determinata materia all'ente che aveva adottato l'atto di primo grado). Cfr. Al
riguardo il parere del Consiglio di Stato, secondo cui: "il potere di
autotutela permane negli organi istituzionalmente preposti ad un certo settore
amministrativo, anche se il ius superveniens abbia posto il divieto di
emanare nuovi atti di un certo tipo, mantenendo fermi gli effetti di quelli già
emanati ed i conseguenti rapporti". (Cons. St., Ad. Plenaria, sentenza n.
5 del 9 marzo 1984, in Giur. it., 1984, III, 1, 273).
(12) La pubblica amministrazione,
anche ove riscontri un vizio di legittimità in un proprio provvedimento (che
possa ledere la sfera soggettiva del destinatario) potrà sempre decidere di
confermare l'atto, qualora l'interesse pubblico prevalente deponga in tal
senso.
(13) Gli atti di ritiro incidono
negativamente sul provvedimento precedentemente adottato, ab origine illegittimo
o inopportuno, o divenuto tale successivamente, avvalendosi di strumenti quali
l'annullamento, la revoca, l'abrogazione, la declaratoria di decadenza ed il
mero ritiro.
Gli atti di convalidazione non incidono negativamente sul provvedimento di primo
grado, ma si limitano ad eliminare i vizi che lo inficiano con una nuova
manifestazione di volontà, avvalendosi di strumenti quali la convalida, la
ratifica, la sanatoria.
Gli atti di conservazione tendono al mantenimento dell'atto, nonostante la sua
invalidità o facendo venire meno uno dei suoi presupposti o una delle
condizioni del ricorso (consolidazione, acquiescenza, conferma) o conservandone
parzialmente gli effetti, qualora siano presenti gli elementi ed i requisiti di
un altro tipo di atto (conversione).
Sull'argomento vedi Virga, Diritto amministrativo, II,
Milano, 1995, 133 ss.
In giurisprudenza si veda: Cons. giust. amm. Sicilia, 20 maggio 1987, n. 126,
in Riv. amm. RI, 1987, 913 ss. per cui "L'amministrazione esercita la
potestà di autotutela tanto nel caso in cui provveda in senso positivo
annullando l'atto ritenuto viziato, quanto nel caso in cui provveda in senso
negativo, affermando che non sono ravvisabili i presupposti per far luogo
all'annullamento d'ufficio".
(14) In questo senso vedi, G.
Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, Padova, II ed., 70-71.
(15) Vedi artt. 31 ss. del DPR n.
600/1973.
(16) Sull'autotutela della pubblica
amministrazione, cfr.: Aiudi, Autotutela. Sulla rinnovazione
dell'avviso di accertamento,in Boll. trib., 1988, 1676 ss.; Albertini, Considerazioni sulla potestà di autotutela dell'amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1989, 683 ss.; V. Azzoni, L'autotutela come
diritto del contribuente, in Boll. trib., 2000, 171 ss.; Barbone, Quando l'ufficio annulla e rimpiazza un atto viziato: in che limiti
l'autotutela opera a favore dell'amministrazione?, in Rass. trib., 1994, n.
9, 1446 ss.; Batti, L'esercizio del potere di autotutela da
parte dell'amministrazione finanziaria tra diritto amministrativo e diritto
costituzionale, in Fisco, 1994, n. 40, 9634 ss.; Calippo, Gli
istituti deflattivi del contenzioso tributario, in Fisco, 1997, n. 22,
6093 ss.; Capolupo, La semplificazione dei rapporti tra
amministrazione finanziaria e contribuente, in Fisco, 1997, n. 16, 4362
ss.; D'Alfonso, Tutela dell'amministrazione e tutela del
contribuente, in Fisco, n. 47, 1996, 11334 ss.; Di Paolo, Esercizio
della potestà di autotutela quale strumento di realizzazione dell'interesse
pubblico e di riduzione del contenzioso, in Fisco, 1997, n. 9, 2403 ss.; Ficari, Il potere di autotutela dell'amministrazione finanziaria nei recenti
chiarimenti ministeriali, in questa Rivista, 1994, III, 398 ss.; Ficari, Istanza di annullamento d'ufficio e "doveri" dell'amministrazione
finanziaria, in Boll. trib., 1998, n. 3, 247 ss.; Gallo, Difesa
e autotutela dell'amministrazione finanziaria nel nuovo processo tributario, in Fisco, 1997, n. 11, 2969 ss.; Loche, Autotutela
dell'amministrazione finanziaria e tutela del contribuente, in Fisco, 1994,
n. 33, 7858 ss.; Lupi, La nuova normativa sull'annullamento
d'ufficio degli atti impositivi illegittimi; spunti per una discussione, in
Boll. trib., 1992, n. 23, 1801 ss.; Lupi, Atti definitivi e
decadenze: se l'autotutela non arriva, cosa può fare il contribuente?,in
Rass. trib., 1994, n. 5, 750 ss.; Maffezzoni, Autocorrezione
dell'accertamento impugnato per vizi formali, in Boll. trib., 1989, 1003
ss.; Manlio Tarquini, Niente autotutela, ricorso al Tar -
in Fisco, 1997, n. 33, 9659 ss.; Menotti Gatto, DL n. 538/1994,
Gli strumenti stragiudiziali della manovra - Il concordato e l'autotutela -in
Fisco, 1994, n. 39, 9388 ss.; Messina, L'annullamento d'ufficio
degli atti impositivi illegittimi, alla luce dell'art. 68 del DPR n. 287/1992,in
Fisco, 1993, n. 44, 10998 ss.; Mifsud, Il potere di autotutela
dell'amministrazione finanziaria - le novità introdotte dal disegno di legge
"Marongiu" a proposito della sospensione cautelare del provvedimento
impugnato, in Fisco, 1997, n. 40, 11654 e ss.; Moroni e Morina, Chiarezza, autotutela e interpello formano la "preventiva intesa", in Fisco, 1997, n. 14, 3944 ss.; Muscarà, Poteri di autotutela
dell'amministrazione finanziaria in ipotesi di difetto di motivazione del
provvedimento impositivo,in Rass. trib., 1990, I, 381 ss.; Palladino
e Sassani, L'annullamento d'ufficio degli atti dell'amministrazione
finanziaria, in Fisco, 1995, 3, 438 ss.; Perrucci, Autotutela
e autoannullamento di atti impositivi, in Boll. trib., 1994, n. 18,
1319-1320; Perrucci, L'autotutela tributaria e il suo diniego
di fronte alla verifica giurisdizionale, in Fisco, n. 14, 2000, 4471 ss.; Plaja, Autotutela tra fisco e contribuente, in Fisco, n. 18, 1994, 4521 ss.; Rinaldi
e Tagliaferro, La Direttiva per la semplificazione dei rapporti tra
amministrazione finanziaria e contribuenti, in Fisco, 1997, n. 17, 4639
ss.; Serafini, Il regolamento sull'autotutelA,in Fisco,
1997, n. 5, 1263 ss.; Stevanato, L'autotutela
dell'amministrazione finanziaria, in Boll. trib., 1996, n. 12, 945 ss.; Stevanato, L'autotutela dell'amministrazione finanziaria, - L'annullamento d'ufficio a
favore del contribuente, Padova; Tarquini, Contenzioso
tributario - Niente autotutela, ricorso al Tar, in Fisco, 1997, 33, 9659
ss.; Tenacità, L'Autotutela dell'amministrazione finanziaria, in Fisco, 1994, n. 43, 10288 ss.;Trovato, Il potere di
autoimpugnativa dell'amministrazione finanziaria e il giudicato, in Fisco, 1994,
n. 28, 6650 ss.
(17) Tra quanti negavano il potere
di autotutela all'amministrazione finanziaria Cfr. Comm. trib. II grado di
Parma, sez., I, 3 novembre 1984, n. 252, in Boll. trib., 919 ss.; Comm.
centrale, sez. III, 5 dicembre 1988, n.8088, in Boll. trib., 1989, n. 6, 470
ss.
(18) Quanto alle posizioni della
giurisprudenza vedi: Comm. centr., XIX, 5 settembre 1985, n. 7475, in Boll.
trib., 1985, 1764 ss.; Comm. centr., sez., IV, 6 febbraio 1986 n. 1159, in
Boll. trib., n. 21, 1681; Comm. centr., VII, 13 maggio 1988, n. 4183, in Boll.
trib., 1989, n. 1, 70 ss.; Cass. 17 marzo 1989, in Boll. trib, n. 19, 1495 ss.;
nonché Cass., 20 gennaio 1991, n. 3003, in Boll. trib., 1991, n. 11, 886 ss.
Per la dottrina vedi: Aiudi, Autotutela: Sulla rinnovazione dell'avviso di
accertamento, in Boll. trib., 1988, n. 22, 1676 ss.
(19) Cfr. Comm. centr., XIX, 5
settembre 1985, n. 7475, in Boll. trib., 1985, 1764 ss., nonché Comm. centr.,
VIII, 13 maggio 1988, n. 4183, in Boll. trib., 1989, n. 1, 70-71.
(20) Sul punto vedi. Comm. centr.,
sez. I, 15 giugno 1987 n. 4804, in Boll. trib., 1988, 395 ss. e Comm. trib. II
grado di Parma, sez. II, 12 gennaio 1985 n. 340, in Boll. trib., 1985, 1001 ss.
(21) Con Circ. min. n. 7/1496 del
30 aprile 1977, della Dir. gen. Imposte, e con Circ. min. n. 29/410811 del 23
maggio 1978 della Dir. gen. Tasse, è stato precisato, infatti, che l'ufficio,
nel notificare il nuovo avviso di accertamento, ha l'obbligo di specificare i
fatti nuovi che giustifichino una maggiore pretesa d'imposta e il modo in cui
ne è venuto a conoscenza, curando di porre in rilievo che tali fatti erano
sconosciuti all'ufficio alla data del primo accertamento e che non era
possibile rilevarli né sulla base degli elementi contenuti nella dichiarazione
né dagli atti in possesso dell'ufficio.
Vedi Codice della riforma tributaria, ediz. Ipsoa, 1992, I, art. 43 DPR n.
600/1973, 1181 s.
(22) Tale posizione interpretativa
è stata però di recente negata dalla Cass., SS.UU., 1996 n. 8685, in Boll.
trib., n. 7, 558 ss., per cui vedi § 1. L'autotutela tributaria: un preciso
obbligo per un'azione amministrativa rispettosa dei principi costituzionali, 1.
(23) Vedi: Comm. centr., sez. VII,
22 aprile 1988 n. 3639, Ufficio II.DD. Benevento c. Iannali, in Comm. trib.
centr., 1988, I, 399, per cui - in applicazione del generale principio di
conformità alla legge dell'atto amministrativo - è preciso obbligo dell'ufficio
finanziario, nell'esercizio dei suoi poteri di autotutela, di eliminare errori
propri o del contribuente, quando esso stesso li rilevi o quando tali errori
siano portati a sua conoscenza. E Comm. centr., sez. IV, 6 febbraio 1986
n.1159, Ufficio II.DD. Martina Franca c. Nigri, in Comm. trib. centr. 1986, I,
158, pure in Boll. trib., 1986, n. 21, 1681.
(24) Sulla natura della
dichiarazione dei redditi quale dichiarazione di scienza, integrabile e
correggibile da parte del contribuente, in caso di omissioni od errori e sui
termini entro cui è possibile procedere alla correzione, vedi: Cass., sez. I
civ., 27 marzo 1998 n. 10412 in Rass. trib. n. 2, 1999, 522 ss., con nota di P.
Coppola, Cass., sez. I civ., 12 agosto 1993, n. 8642, in Riv. legisl.
fisc., 1994, 1379; Cass., sez. I civ., 13 agosto 1992 n. 9554, in questa
Rivista, 1993, II, 115; Cass., 27 aprile 1988 n. 3174, in Rass. Avv. Stato,
1988, I, 421; Cass., 8 settembre 1986 n. 5476, in Boll. trib., 1986, 1679 ss.;
Cass., sez. I civ., 23 gennaio 1985 n. 271, in Boll. trib., 1985, 758 ss.;
Cass., sez. I civ., 6 marzo 1980 n. 1500, in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 3;
Cass., SS.UU., 27 settembre 1965 n. 2048, in Foro it., 1965, I, 1830 ss.; Comm.
centr., sez. I, 8 luglio 1991 n. 5273, in Comm. trib. centr., 1991, I, 613;
Comm. centr., sez. IX, 1 febbraio 1991 n. 806, in Comm. trib. centr., 1991, I,
143; Comm. centr., sez. XXII, 3 novembre 1988, n. 7284, in Giur. imp., 1989,
14; Comm. centr., sez. VII, 3 agosto 1988 n. 5832, in Giur imp., 1988, 701;
Comm. centr., sez. VIII, 17 settembre 1987 n. 5758 in Comm. trib. centr., 1987,
I, 364; Comm. centr., sez. III 4 giugno 1987 n. 4487, in Comm. trib. centr.,
1987, I, 281; Comm. centr., sez. VIII, 18 maggio 1987 n. 3971, in Comm. trib.
centr., 1987, I, 249; Comm. centr., sez. IV, 6 febbraio 1986 n. 1159, in Comm.
trib. centr., 1986, I, 158 e pure in Boll. trib., 1986, n. 21, 1681.
In dottrina vedi: Paola Coppola, Sulla rettificabilità della
dichiarazione per questioni di diritto, in Rass. trib., n. 2, 1999, 522
ss.; Cocivera, Accertamento tributario, voce in Enc. dir.,
I, Milano, 1958; Nuzzo, Natura ed efficacia della dichiarazione
tributaria, in Dir prat. trib., 1986, I, 34 ss.; Fregni, Istanza
di rimborso correttiva di dichiarazione dei redditi e dichiarazione integrativa
ex art. 9 comma 8 DPR n. 600/1973: un connubio problematico, in Boll.
trib., 1996, 1136 ss.
(25) Cfr. Comm. centr., sez. X, 11
maggio 1994, n. 1528, in Boll. trib., 1995, n. 11, 861.
(26) Cass., sez. I, 29 marzo 1990,
n. 2576, in Boll. trib., 1990, n. 17, 1274 ss.
(27) Nello stesso senso, vedi
Cass., sez. I, 30 agosto 1993, n. 9196, in Boll. trib., 1994, n. 13, 1040 ss.;
Cass., sez. I civ., 20 marzo 1991, n. 3003, in Boll. trib., 1991, n. 11, 886
ss.; Cass., sez. I civ., 21 agosto 1993, n. 8854, in Dir. prat. trib., 1995,
II, 521 nonché in Boll. trib., 1994, n. 12, 967 ss.
(28) In tal senso si è espressa da
ultimo la Cass., SS.UU., 4 ottobre 1996 n.8685, in Boll. trib., 1997, n. 7, 558
ss. Per una critica alla posizione dei giudici di legittimità, vedi retro § 1.
L'autotela tributaria: un preciso obbligo per un'azione amministrativa
rispettosa dei principi costituzionali, 1.
(29) In G.U. n. 116 del 20 maggio
1992.
(30) Vedi in Fisco, 1994, n. 45,
10798.
(31) Vedi l'art. 1 della legge n.
241/1990.
(32) Per un approfondimento vedi retro nota 8.
(33) Al riguardo vedi V. Cerulli
Irelli, Corso di diritto amministrativo, parte III, sez. I, 1991,
ed G. Giappichelli - Torino, 42 ss.
(34) Vedi oltre § 5. La natura del potere
di autotutela dell'amministrazione finanziaria, 17.
(35) Per un approfondimento vedi Ficari, Istanza di annullamento d'ufficio e "doveri" dell'amministrazione
finanziaria, in Boll. trib., 1998, n. 3, 247 ss.
(36) Per un approfondimento sugli
strumenti di tutela del contribuente vedi oltre § 6., La tutela del
contribuente, 24 ss.
(37) Per un approfondimento sulla
posizione giuridica del contribuente ed una singolare ricostruzione
interpretativa, cfr. Maria Teresa Moscatelli, Discrezionalità
dell'accertamento tributario e tutela del contribuente, in Rass. trib.,
1997, n. 5, 1107 ss., nonché E. De Mita, Capacità contributiva, in Rass. trib., 1987, I, 45 ss.; P. Braccioni, Capacità
contributiva e principi fondamentali dell'ordinamento comunitario, in Dir.
prat. trib., 1989, I, 1137 ss.;M. Angiello, La capacità
contributiva, in Rass. Imp. dir., 1980, 442; Potito, Soggetto
passivo d'imposta, in Enc. dir., Milano, 1990, XLII, 1226 ss.; G.F.
Gaffuri, Lezioni di diritto tributario, Padova, II ed., 70-71.
(38) Sull'interesse legittimo vedi: Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna, 1979, 115 ss.,
nonchéAllorio, Diritto processuale tributario, Torino,
1962, 568 ss.
(39) Sul punto vedi oltre § 6. La
tutela del contribuente, 24 ss.
(40) Si veda in G.U. n. 116 del 20
maggio 1992.
(41) Vedi in Fisco, 1994, n. 45,
10798.
(42) E in questo senso si era già
posto il legislatore che, sia pure ai soli fini delle imposte di registro, di
successione, sull'incremento di valore degli immobili e ipotecarie, aveva
riconosciuto all'amministrazione un potere di riduzione del valore accertato
dopo che siano trascorsi i termini di impugnazione dell'atto, allorquando
risulti manchevole e erroneo l'accertamento eseguito. Vedi infatti l'art. 34
del RD 30 dicembre 1923, n. 3269, la Circ. 23 gennaio 1976, n. 4; la Ris. 25
maggio 1988, n. 300755, cos come citate nella Direttiva 29 marzo 1994 n. 10932
della Dir. Reg. delle Entrate per l'Emilia Romagna, in Boll. trib., 1994, n.
11, 850 ss.
(43) Cfr. in tal senso, la Ris.
min. 14 giugno 1995 n. 194/E, della Dir. centrale Affari Giur. e contenzioso
trib., serv. II, div. IV, in Boll. trib., 1995, n. 18, 1326-1327.
(44) Il regolamento è stato approvato
dal Consiglio di Stato nell'adunanza generale del 28 novembre 1996 e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo 1997 n. 53. Vedi in Boll trib., n. 5,
1997, 386.
(45) L'art. 2 dispone che
l'amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte,
all'annullamento d'ufficio, anche in pendenza di giudizio o in caso di non
impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell'atto, quali, tra
l'altro:
a) Errore di persona.
b) Evidente errore logico o di calcolo.
c) Errore sul presupposto d'imposta.
d) Doppia imposizione.
e) Mancata considerazione di pagamenti d'imposta, regolarmente eseguiti.
f) Mancanza di documentazione, successivamente sanata, non oltre i termini di
decadenza.
g) Sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi
agevolativi, precedentemente negati.
h) Errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile
dall'amministrazione.
Al comma 2, si precisa che non si procede all'annullamento d'ufficio per i
motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole
all'amministrazione finanziaria.
(46) Cos dispone l'art. 3 del
regolamento citato.
(47) Vedi art. 6 del regolamento
citato.
(48) Nel medesimo senso si è posta
la stessa amministrazione finanziaria, da ultimo con la Circ. 5 agosto 1998 n.
198/S/2822/98/GCF/as, in Fisco, 1998, n. 31, 10381 ss.
(49) Vedi, al riguardo, gli artt.
23 e 5 del predetto regolamento; e pure la Direttiva della Dir. Reg. delle
Entrate per l'Emilia Romagna, 29 marzo 1994 n. 10932 per cui l'illegittimità o
l'infondatezza dell'atto impositivo può essere segnalata dal contribuente,
oppure rilevata autonomamente dall'ufficio (in Boll. trib., n. 11, 850 ss.).
(50) Vedi artt. 33 e 44 del DPR n.
600/1973.
(51) Così, vedi Circ. 11 dicembre
1995, n. 445/1995 della Dir. Reg. delle Entrate della Lombardia, in Boll.
trib., 1995, n. 24, 1799 ss.
(52) Ed in questo senso la
Direzione regionale delle entrate per la Lombardia - div. V, serv. III, con la
Circ. n. 3/22993/Dir/99 del 16 novembre 1999 ha precisato che "...per
motivi di opportunità e trasparenza, nonché di necessaria correttezza nei
confronti dei contribuenti, gli uffici, anche nelle ipotesi di non accoglimento
delle istanze di parte per l'accertata insussistenza delle ragioni addotte,
avranno cura di comunicare agli interessati l'esito dell'intervenuto riesame
dell'atto contestato, enunciando, anche susccintamente, i motivi del
rigetto...". Vedi Dir. Reg. delle Entrate per la Lombardia - div. V, serv.
III, Circ. n. 3/22993/Dir/99 del 16 novembre 1999, in Boll. trib., 2000, n. 3,
204 ss.
(53) Per un approfondimento vedi retro § 4.1. La legge n. 241/1990, 12.
(54) Ed in questo senso il
Ministero delle finanze, con la Circ. n. 450 del 6 giugno 1994, ha disposto che
ciascun ufficio che riceva istanze, esposti o segnalazioni dai cittadini, non
deve trascurare di valutare i loro contenuti e, ove ne verifichi la fondatezza
adottare le iniziative ed i provvedimenti del caso. Cfr. Min. fin., Circ. 6
giugno 1994 in Dir. prat. trib., 1994, I, 1437 ss.
(55) Un più forte riconoscimento di
siffatta posizione giuridica tutelata in capo al contribuente, sembra prospettarsi
altresì dal cd. Statuto del contribuente. In particolare l'art. 9 del DDL 8
agosto 1996, tutela l'affidamento e la buona fede del contribuente. Al riguardo
vedi Serranò`, Lo statuto del contribuente: tra realtà e
telenovela, in Boll. trib., 1997, n. 11, 835 ss.
(56) Al riguardo, la stessa
amministrazione finanziaria ha chiarito che l'esercizio del potere di
autotutela non incontra altri limiti oltre quello della sentenza passata in
giudicato ed in considerazione del principio per cui l'annullamento di un atto
non può spingersi fino all'eliminazione di situazioni irrevocabili ed
esauritesi nel tempo ( factum infectum fieri nequit) ha ritenuto che
quando sia trascorso un periodo di tempo adeguatamente lungo, durante il quale
l'atto abbia esplicato i propri effetti senza alcuna contestazione, non può non
ritenersi prevalente l'interesse alla certezza e alla stabilità delle
situazioni giuridiche, per cui non sarà più possibile procedere al riesame.
Cfr. Circ. Dir. delle Entrate per la Provincia autonoma di Trento - servizio I
- Divisione I, n. 9282 del 12 marzo 1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate -
Ufficio del Direttore Generale, n.195/E/4762/UDC dell'8 luglio 1997, in Fisco,
1997, n. 30, 8578 ss.
(57) Cfr. Direttiva 29 marzo 1994
n. 10932 della Dir. gen. delle Entrate per l'Emilia Romagna, in Boll. trib.,
1994, n. 11, 850 ss., e pure in Fisco, 1994, n. 20, 5122 ss.
(58) Vedi: Circ. min. 25 giugno
1994, n. 100/S/UCIP/1692, del Segretario generale, Ufficio centrale per
l'elaborazione degli indicatori di produttività e Ufficio centrale per
l'informazione del contribuente, in Boll. trib., 1994, n. 13, 1016 ss.; Circ.
Min. fin., 6 giugno 1994 n. 450, in Dir. prat. trib., 1994, I, 1437 ss.: e pure
la nota del Ministero della finanze Dip. - segretario generale - 18 luglio
1994, con nota di Ficari, Il potere di autotutela
dell'amministrazione finanziaria nei recenti chiarimenti ministeriali, in
questa Rivista, 1994, III, 389 ss. ed in Fisco, 1994, n. 25, 6185 ss.
(59) Nel senso che "alla
nozione di giudicato debba essere assimilato anche l'effetto di definitività
dell'atto amministrativo...", vedi Ris. min., 25 gennaio 1993, n. 500311
della Dir. gen. Tasse e Imposte indirette affari, Div. XVI, in Boll. trib.,
1993, n. 6, 504-505.
(60) Cfr. Ris. min., 14 luglio
1995, n. 194/E, in Boll. trib., 1995, n. 18, 1326.
(61) Cfr. Lupi, cit.,
in Fisco, 1992, n. 23, 1801 ss.
(62) L'indirizzo della
giurisprudenza, sull'argomento, emerge chiaramente dalle decisioni della Comm.
centr., sez. XVI, 2 novembre 1994, in Boll. trib., 1995, n. 23, 1760, ma
altresì - da ultimo - dalla sentenza della Cass., sez. I, 11 novembre 1998, n.
11364, in Boll. trib., 1999, n. 9, 749 ss., in cui la Cassazione, in termini
rigorosi, esclude che l'amministrazione finanziaria possa provvedere all'annullamento
di un atto impositivo in sede di riscossione, qualora l'atto di accertamento
sia divenuto definitivo, per mancata impugnazione.
(63) L'esercizio di un potere non
determina, infatti, la consumazione del potere stesso, per cui l'ufficio
impositore, in presenza di un atto nullo può procedere ad un nuovo accertamento
che rimuova la causa di nullità che ha colpito il precedente. In questo senso
si è espressa la Cass. 29 marzo 1990 n. 2576, in Boll. trib., 1990, n. 17,1274
ss. per cui salvo che sia intervenuto giudicato l'amministrazione finanziaria
può sempre integrare o rinnovare i propri atti di accertamento entro il termine
di decadenza di cui all'art. 43 del DPR n. 600/1973, non essendo venuto meno il
potere di accertamento della stessa. Nello stesso senso vedi anche Comm.
centr., sez. VIII, 13 maggio 1988 n. 4183, in Boll. trib., 1989, n. 1, 70.
(64) Cfr. Circ. Dir. delle Entrate
per la Provincia autonoma di Trento - servizio I - Divisione I, n. 9282 del 12
marzo 1997, richiamata dalla Circ. Dip. Entrate - Ufficio del Direttore
Generale, n. 195/E/4762/UDC dell'8 luglio 1997, in Fisco, 1997, n. 30, 8578 ss.
(65) Sull'argomento vedi Loche, cit. in Fisco, n. 33, 1994, 7858 ss., Lupi, cit. in Boll. trib.,
1992, 23, 1801 ss.; Id., Atti definitivi e decadenze: se l'autotutela non
arriva, cosa può fare il contribuente?, in Rass. trib., n. 5, 1994, 750
ss.; Messina, L'annullamento d'ufficio degli atti impositivi
illegittimi, alla luce dell'art. 68 del DPR n. 287/1992, in Fisco, 1993, n.
44, 10998 ss.
(66) Sulla posizione giuridica del
contribuente vedi retro § 4.2. La posizione giuridica del contribuente, 13.
(67) Deve ritenersi, infatti, che
il contribuente, ancorché siano scaduti i termini per impugnare l'atto, si
trovi in una condizione differenziata rispetto al fatto imponibile oggetto del
potere amministrativo che lo riguarda.
(68) Cfr. In tal senso, la Circ.
min., 25 giugno 1994, n. 100/S/UCIP/1692, del Segretario generale, Ufficio
centrale per l'elaborazione degli indicatori di produttività e Ufficio centrale
per l'informazione del contribuente, in Boll. trib., 1994, n. 13, 1016 ss.
(69) Sull'applicazione della legge
n. 241/1990 in materia tributaria, vedi la Circ. min. 13 febbraio 1995, n.
49/S/Ucip, in Boll. trib., 1995, n. 4, 273 ss.
(70) Vedi Cons. St., ad. plen., 10
marzo 1978, n. 10, in Foro amm., 1979, I, 2357 ss.
(71) Il DL 12 maggio 1995, n. 163,
all'art. 3-ter disciplina espressamente "rimedi per l'inosservanza dei
termini". Cfr. in Boll. trib., 1995, n. 15, 1169 ss.
(72) Sul punto vedi anche M.T.
Moscatelli, Discrezionalità dell'accertamento tributario e tutela del
contribuente, in Rass. trib., 1997, n. 5, 1107 ss., nonché Perrucci, L'autotutela tributaria e il suo diniego di fronte alla verifica
giurisdizionale, in Fisco, n. 14, 2000, 4473 - 4474.
(73) Vedi art. 19 DPR n. 546/1992.
(74) La risarcibilità dei danni
derivanti dal silenzio illegittimo della pubblica amministrazione, deve,
infatti, ritenersi implicitamente riconosciuta sulla base all'art. 2 della
legge n. 241/1990, perché diversamente nessuna rilevanza assumere, e la
previsione della sanzione del risarcimento a carico del funzionario.
Per un approfondimento sui principi programmatici di cui alla legge n. 241/1990
vedi retro § 1., L'autotutela tributaria: un preciso obbligo per un'azione
amministrativa rispettosa dei principi costituzionali, nonché § 4.1., La legge
n. 241/1990, 12.
(75) Cfr. La Ris. n. 160/E del 16
luglio 1997 in Fisco, 1997, n. 33, 9687 ed in dottrina Mifsud, Il
Ministero delle Finanze ha riconosciuto il diritto del contribuente ad essere
ristorato di tutti gli oneri sostenuti in relazione ad un pagamento non dovuto, in Fisco, 1997, n. 33, 9662 ss.
(76) Al riguardo si veda l'art. 68
del DPR n. 546/1992.
(77) Si pensi per esempio al danno
sofferto per il fallimento dell'attività imprenditoriale di colui che abbia
dovuto corrispondere all'erario una somma superiore alle proprie capacità
reddituali.
(78) Sull'argomento vedi R.
Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 832 ss.;
nonché M. Bianca, Diritto civile - la responsabilità, Milano, 1994, V, 637 ss.; e Virga, Diritto Amministrativo, i
Principi, Milano, 1995, 417 ss.
In giurisprudenza, sulla risarcibilità dei danni sofferti dal contribuente vedi
Trib. di Verona, sez. II civ. 30 aprile 1991 n. 509, in Boll. trib., n. 3,
1992, 296, nonché Comm. trib. centr., sez. XVIII 15 gennaio 19991 n. 239, in
Boll. trib., n. 9, 1991, 716.
(79) Vedi retro § 4.2. La
posizione giuridica del contribuente, 457.
(80) Vedi: Cons. St., ad. plen., 10
marzo 1978 n. 10, in Giust. civ., 1978, II, 269 e Cons. St., sez. VI, 7 luglio
1986 n. 483, in Foro amm., 1986, 1361.
(81) In tal senso in giurisprudenza
vedi Tar Sicilia, Catania, 10 marzo 1986 n. 179, in Tar, 1986, I, 1994 ss. ed
in dottrina R. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 492-493.
(82) Per un approfondimento
giurisprudenziale in tema di risarcibilità degli interessi legittimi si veda:
Cass., SS.UU. civ., 22 luglio 1999 n. 500, in Foro it., 1999 n. 9. I, 2487 ss.;
Cass., SS.UU. civ., 3 agosto 1993 n. 8545, in Giur. it., 1994, I, 1, 1354 ss.;
Cass., SS.UU. civ., 10 novembre 1993 n. 11077, in Il Corr. giur., n. 5/1994,
620 ss.; Trib. Voghera, 11 gennaio 1996, in Il Corr. giur., n. 10, 1996 1148
ss.; Cass., sez. I civ., 3 maggio 1996 n. 4083, in Il Corr. giur., n. 1/1997,
59 ss.; Cass., SS.UU. civ., n. 97/10453 e Cass., SS.UU. civ., n. 98/5144, in
Codice Civile commentato, art. 2043, Padova, 1998, App. Trento, 3 maggio 1996,
in Corr. giur. 1997, n. 1, 70-71; Trib. Trani, 24 ottobre 1995, in Corr. giur.,
1997, n. 1, 71 ss.; Cass., SS.UU. civ., 18 maggio 1995 n. 5477, in Giust. civ.
Mass., 1995, 1027; Cass., SS.UU. civ., 16 dicembre 1994 n. 10800, in Foro it.
Rep., 1994, voce Edilizia e urbanistica n. 621; Cass., SS.UU. civ., 20 aprile
1994 n. 3732 in Foro it., 1994, I, 1, 250 ss.; Cass., SS.UU. civ., 22 luglio
1993 n. 8181 in Foro it., 1994, I, 1, 1853 ss.; Cass., SS.UU. civ., 6 luglio
1992 n. 8211, in Giust. civ. Mass., 1992, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 6 luglio
1992 n. 8210, in Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 26 luglio
1990 n. 7555, in Giust. civ. Mass., 1990, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 3 luglio
1989 n. 3183, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 7; Cass., SS.UU. civ., 1
ottobre 1982 n. 5030, in Giust. civ., 1982, I, 2917 ss.
In dottrina si veda: Satta, Responsabilità della pubblica
amministrazione, in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 1369 ss.; Scoditti, Una apertura giurisprudenziale su violazione di interessi legittimi e
responsabilità civile, nota a Cass., SS.UU. civ., 22 luglio 1993 n. 8181,
in Foro it., 1994, I, 1, 1853 ss.; Franzoni, Risarcimento per
lesione di interessi legittimi, in Contr. e impr., 1993, 274 ss.; Benini, Commento a Cass. civ., SS.UU., 20 aprile 1994 n. 3732 in Foro
it., 1994, I, 1, 250 ss. Palmieri, Commento a Cass. civ., sez.
I, 3 maggio 1996 n. 4083,in Il Corr. giur., n. 1/1997, 59 ss.; Mastrorilli, Commento a Corte Appello Trento 3 maggio 1996, in Corr. giur. 1997, n.
1, 70 ss.; Saporito, Commento a Cass. civ., SS.UU., 10 novembre
1993 n. 11077, in Il Corr. giur., n. 5/1994, 624 ss.; Roselli, Alcune questioni sul risarcimento del danno da lesione di interessi
legittimi nel diritto pubblico e nel diritto privato,in Foro it., 1994, I,
59 ss.; Caringella, Commento a Tribunale di Voghera 11 gennaio
1996, in Il Corr. giur., n. 10, 1996, 1153 ss.; Rampazzi, La
Cassazione riafferma la irrisarcibilità degli interessi legittimi, in Foro
it., 1994, I, 250 ss.
(83) Perché sorga la responsabilità
da atto illecito, non basterebbe, infatti, che il comportamento della pubblica
amministrazione sia "non iure",cioè contrario alle leggi, ma
dovrebbe essere anche "contra ius", cioè lesivo di una
posizione di diritto soggettivo.
Sull'argomento vedi: R. Galli, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1995, 87 ss.; nonché M. Bianca, Diritto civile - la
responsabilità, Milano, 1994, V, 637 ss.; Virga, Diritto
Amministrativo, i Principi, Milano, 1995, 421.
(84) Vedi Cass., SS.UU. civ., 3
luglio 1989 n. 3183, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 7; Cass., sez. I civ.,
25 marzo 1988 n. 2579, in Foro it., 1988, I, 3328.
(85) Cfr. le due direttive Cee n.
89/665 del 21 dicembre 1989 e n. 92/13 del 25 febbraio 1992, nonché le Leggi n.
142/92 (art. 13); n. 493/93 (art. 4); e n. 109/94 ed il D.Lgs. n. 157/1995.
(86) Si veda: Cass., SS.UU. civ.,
22 luglio 1999 n. 500, in Foro it., 1999 n. 9. I, 2487 ss.
(87) La legge n. 59/1997,
prevedendo l'obbligo di indennizzo dei danni conseguenti al ritardo della
pubblica amministrazione ha, infatti, riaperto la questione della risarcibilità
degli interessi legittimi, che sembrava essersi sopita dopo che i giudici di
legittimità avevano escluso la possibilità di considerare le disposizioni
dell'art. 13 della legge n. 142/1992, quali principi generali della
risarcibilità della lesione dell'interesse legittimo.
Al riguardo vedi: Cass., SS.UU. civ., 16 dicembre 1994 n. 10800, in Giust. civ.
Mass., 1994, fasc. 12.
(88) Sulla giurisdizione del
giudice ordinario in ordine alla domanda di risarcimento danni subiti dal
contribuente, si è espressa la Comm. centr., sez. XVII, con sentenza 15 gennaio
1991 n. 239, in Boll. trib., 1991, n. 9, 716, nonché il Trib. Verona, sez. II
civ., con sentenza 30 aprile 1991 n. 509, in Boll. trib., 1992, n. 3, 296 ss. e
la Comm. centr. sez. XIV con sentenza 12 giugno 1995 n. 2417, in Foro it.,
1995, III, 632 ss.
(89) Si pensi ad un accertamento di
valore che per errore dell'ufficio includa beni di grande rilevanza
appartenenti a terzi, rinnovato a seguito di un erroneo esercizio del potere di
autotutela su richiesta documentata del privato, cui derivi perciò un danno
dall'iscrizione a ruolo provvisoria.
(90) Sul punto vedi Cass. civ. n.
5361/1984 riportata in nota all'art. 2043 c.c., XII - la responsabilità della
pubblica amministrazione,Cian-Trabucchi, Commentario breve del
codice civile, Padova, 1992, 1680 - 1681.
(91) Vedi l'art. 2, comma 1, del
Ris. min., 11 febbraio 1997 n. 37 approvato dal Consiglio di Stato
nell'adunanza generale del 28 novembre 1996 e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale del 5 marzo 1997 n. 53. Vedi in Boll. trib., n. 5, 1997, 386.